«Marotta è vivo»: l'abbraccio di Napoli all'ultimo giacobino

«Gerardo Marotta è vivo», scandisce il figlio Massimiliano. Lo ripete tre, quattro, cinque volte....

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«Gerardo Marotta è vivo», scandisce il figlio Massimiliano. Lo ripete tre, quattro, cinque volte. Il funerale laico dell'ultimo giacobino riempie di impegno Palazzo Serra di Cassano a Napoli. «È stato un terremoto nelle nostre vite», prosegue il primogenito dell'avvocato nel suo discorso più volte interrotto dagli applausi. Ad aprire la cerimonia il presidente emerito della Corte Costituzionale Francesco Paolo Casavola, poi gli intellettuali Gianni Ferrara e Nuccio Ordine. E il procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti: «L'indignazione da sola non basta», avvisa.

Intervengono i politici, che «Marotta non avrebbe voluto far parlare», ma questa cerimonia è anche il modo per dare voce e corpo al futuro dell'Istituto di studi filosofici alla ricerca di finanziamenti e di una sede per sua biblioteca di oltre 300mila volumi. Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, che oggi ha proclamato il lutto cittadino, afferma d'un fiato: «Purtroppo, questa assenza è incolmabile». Il governatore Vincenzo De Luca: «Ci ha insegnato le regole del rigore intellettuale, e questo vuole essere un monito a risarcire la sua persona di quell'attenzione che non gli abbiamo saputo dare».
 
Il giurista Alessandro Marotta legge un messaggio dell'avvocato, «scritto di suo pugno», che parla dei «continui ostacoli, di burocrazia e politici». I suoi allievi recitano poesie, versi in latino, suonano e cantano l'Ave Maria e ricordano altre frasi proverbiali e la sua volontà di sostenere innanzitutto giovani con borse di studio. Fuori dal palazzo, invece, resta il braccio destro di Marotta, Antonio Gargano, l'unico che preferisce non prendere la parola. Ma anche l'ultimo atto è un grido: il corteo funebre, di protesta.


«Vogliamo la nostra biblioteca»: è l'urlo di una comunità con duemila volti, tra cui tanti insegnanti, ex studenti, rappresentanti delle istituzioni. «Lottate per questo istituto», chiede Massimiliano, che abbraccia e stringe mani, giù sino a piazza Santa Maria degli Angeli, davanti alla sede pubblica, che avrebbe dovuto ospitare i 300mila volumi raccolti da Marotta in quell'intensa, infinita tensione, tra rivoluzione tentata e risorgimento atteso, davanti a un portone che, aperto, con i suoi occhi, lui non potrà vedere mai. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino