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Bello, alto, atletico e dongiovanni, fece la guerra nel battaglione San Marco, poi tentò la carriera di pugile, quindi fu inevitabilmente risucchiato dal richiamo del mondo dello spettacolo, divenendo in breve una star di cantaNapoli. Vinse il concorso per voci nuove indetto da Radio Napoli nel '44, appena un anno dopo lanciò "Munasterio 'e Santa Chiara" in una rivista di Galdieri, lavorò a teatro con la Magnani e Cervi, fino a conquistare il cinema con la sua fotogenia e a diventa star di pellicola popolari, musicarelli ma non solo.
Nel '54 arrivò a girar ben dieci film, sempre invischiato in storie d'amore e melodrammoni, ma colpì anche Rossellini che lo volle in "Dov'e' la liberta".
Ma a consegnarlo alla storia dello spettacolo furono "Carosello napoletano" di Ettore Giannini portato dal palcoscenico al grande schermo (1950), e "Malafemmena" di Toto' che fu il primo a incidere nel 1951.
Se la sua fama, ed il suo pieno stile tenorile di canto, rimasero ancorati agli anni Cinquanta, Giacomo continuò, anche al ritorno in Italia dopo oltre un ventennio, a far sfoggio di un'ugola sicura, di un'emissione potente, di una prestanza fisica invidiabile.
Da tempo viveva alle porte di Roma, a Fonte Nuova, da dove spediva agli amici i provini di registrazioni in cui musicava Poesie di Totò ed Eduardo, o si misurava con qualche classico non ancora da lui inciso. Ma anche progetti, per un nuovo Festival di Napoli, per una scuola della canzone partenopea. Senza di lui il Novecento canoro napoletano è ormai afono come un passato sempre più remoto. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino