Giulio Murolo è morto. L'infermiere killer che il 15 maggio del 2015 provocò una strage sparando all'impazzata dal balcone di casa, in via Miano, su ogni...
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Nonostante tutto, nonostante fosse stato sottoposto a tutte le terapie salvavita previste dai protocolli sanitari in presenza di casi riconducibili a tentativi di suicidio. E dire che, almeno inizialmente, le condizioni cliniche non avevano fatto temere per la sua vita; i sanitari avevano proceduto a lavande gastriche ed una serie di analisi e accertamenti per tenerlo sotto costante monitoraggio. Il suo ricovero aveva comportato misure straordinarie di sicurezza nel nosocomio di via Vespucci, ora diretto da Michele Ferrara, ove era stata predisposta un'intera sala degenti esclusivamente per il detenuto, con personale sanitario dedicato, controlli per la sicurezza del paziente eseguiti ciclicamente e in orari programmati oltre, chiaramente, il piantonamento effettuato giorno e notte dagli agenti della Polizia penitenziaria. La notte del 12 marzo Murolo ha accusato una grave crisi respiratoria che ha reso necessario ed urgente il suo trasferimento nel reparto di Rianimazione e l'impiego dei macchinari per consentirgli il buon funzionamento dei polmoni. Ma l'uomo - intubato e in prognosi riservata - non ha mostrato segni di evidente peggioramento fino alla mattina di ieri, quando è improvvisamente intervenuta una crisi cardiorespiratoria che questa volta ha compromesso anche il cuore rendendo sempre più precarie le condizioni di sopravvivenza clinica, che si sono progressivamente aggravate fino alla morte subentrata intorno alle 15.50.E adesso scattano le indagini. Su tutte c'è una domanda che bisogna porsi: com'è stato possibile che un detenuto attenzionato come Giulio Murolo sia riuscito a suicidarsi utilizzando dei farmaci? E qui occorre fare un passo indietro. Va detto che l'ex infermiere per settimane è stato ristretto in una cella del carcere di Poggioreale in isolamento, e guardato a vista dagli agenti. Proprio in considerazione delle condizioni psichiche, ma anche dei propositi suicidi che aveva avanzato nell'immediatezza dei fatti commessi nella giornata in cui uccise cinque innocenti, nei suoi confronti erano state adottate misure custodiali straordinarie.
Successivamente però Murolo era stato trasferito in una cella del padiglione «Avellino», che divideva con altri detenuti. Nei suoi confronti la direzione sanitaria del carcere continuava a gestire un protocollo di trattamento psichiatrico. Che medicinali assumeva? Sicuramente delle gocce. Forse anche delle pillole. Farmaci che gli venivano «contingentati». E allora com'è possibile che il detenuto ne abbia potuto disporre in quantitativi massicci, tali da determinare un crollo fisico? Ecco l'interrogativo al quale dovranno dare risposta due diverse inchieste: quella giudiziaria e una seconda, interna, amministrativa. La risposta, tuttavia, è semplice: Murolo sarebbe riuscito - anche in funzione delle esperienze professionali (era infermiere) a trattenere i farmaci fingendo di averli deglutiti, fino al rientro in cella. Lì li avrebbe custoditi e accumulati, fino ad arrivare a quel dosaggio letale che poi tale si è rilevato, nel momento in cui li ha assunti tutti insieme.Sul caso interviene il suo legale di fiducia, l'avvocato Carlo Bianco. Il quale pone interrogativi che suonano come un duro atto d'accusa. «Questa è una tragedia annunciata - dice al «Mattino» il penalista - Appena venni a conoscenza del ricovero, sabato scorso, intuii che si stava avverando quanto avevo sostenuto davanti al giudice. Murolo peggiorava ogni giorno di più. Me ne accorgevo ogni volta che lo vedevo per i colloqui. Eppure, nonostante tutte le mie richieste, sia la Procura che il giudice per le indagini preliminari non ritennero di convenire su un fatto: e cioè che Giulio Murolo fosse un detenuto da curare nelle forme più giuste».
L'avvocato insiste: «Le nostre perizie dimostravano che si era di fronte a un soggetto malato, bisognoso di cure psichiatriche specifiche.
Il Mattino