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La vicenda delle bestemmie affisse sui muri della città, ad opera di artisti impegnati nella rassegna del Pan Ceci n'est pas un blasphème, scatena un coro unanime di dissenso. Non solo da parte degli esponenti della Curia e del mondo cattolico: anche tra intellettuali ed esponenti dello spettacolo che sono contro la censura e fanno parte dell'area laica della cultura cittadina. L'attore Peppe Barra si è occupato diverse volte, in passato, di dissacrazione e sacralità. Ma in questo caso è contro le operazioni di subvertising che è il mezzo espressivo usato nei manifesti blasfemi: «Di queste sciocchezze non mi curo. Sono azioni stupide, ci vuole ben altro per realizzare un futuro di libertà», ha spiegato al Mattino.
Maurizio De Giovanni opera un distinguo: «Fare una mostra è sempre lecito perché essendo delimitata da uno spazio chiuso si può scegliere se andare a vederla o meno. Diverso è il caso di affissioni pubbliche che la stanno pubblicizzando: in quel caso, e lo dico da non religioso, provocare l'attenzione con una bestemmia è sbagliato, non attrae, non è corretto né eticamente né esteticamente». Lo scrittore sottolinea la sua posizione: «Non ho la fortuna di credere. Ma sono da sempre attento alla religiosità comunitaria e soprattutto a quella napoletana. Capisco il senso della provocazione scioccante ma esistono altri modi di reclamizzare un'iniziativa che offendere la gente che quel sentimento lo prova». Però, sottolinea, «non credo ci sia responsabilità diretta del Comune in queste affissioni», in riferimento al fatto che la giunta De Magistris ha patrocinato l'iniziativa. Ed è la stessa linea di difesa che Emanuela Marmo, ideatrice della mostra, adotta: «Nessuno ha dato il via alle affissioni.
Eppure il senso della provocazione sembra sfuggire agli stessi artisti più trasgressivi. Betty Bee, ad esempio: «E questa sarebbe provocazione? Io ho lavorato molto sulla critica alla religione, ho presentato dipinti con il Cristo nudo, il Cristo nero. Ma l'ho fatto con le immagini e le idee, non con una frase. Non capisco chi bestemmia e lo espone anche, è soprattutto un modo superato di provocare». Tony Tammaro si definisce un open mind. E nei suoi brani ha spesso cantato cose poco dicibili in contesti istituzionali. Però anche lui è critico: «Non sono per la censura. Però la bestemmia riguarda un sentimento che coinvolge la maggior parte delle persone e bisogna averne rispetto. Per ogni fede: se sto in un ristorante a mangiare salsicce ed entra uno che presumo sia musulmano io copro il piatto». Infine, Patrizio Rispo che rinvia al patrimonio linguistico partenopeo per criticare la blasfemia: «Sono contro ogni censura, penso sia l'ultimo stadio della democrazia. Ma qua parliamo di una cosa che mi dà disgusto. Non riesco a leggerle neanche, le bestemmie. E poi offende la nostra tradizione di creatività: ci sono tanti modi per provocare, anche per maledire. La bestemmia non fa parte del nostro patrimonio culturale». Anche tra i politici si sono levate voci di protesta. Gianfranco Wurzburger, presidente di Asso.gio.ca (associazione che si occupa da oltre venti anni di minori a rischio), dice: «A mio parere non si può ignorare la sensibilità dei credenti, moltissimi dei quali si sono sentiti profondamente offesi dalla provocazione gratuita, in cui hanno visto un messaggio di attacco nei confronti della loro fede».
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