Impugna una pistola, che tiene puntata verso l’alto, con il braccio teso e l’impugnatura obliqua, di quelle che si vedono nei film alla Scarface. In un altro scatto...
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Il resto è storia di sguardi e tatuaggi, pose muscolari e sostegno psicologico. Come quello offerto poche ore dopo l’arresto di F.C. da tale «Genny», che sempre attraverso facebook si fa vivo gli indirizza una frase di incoraggiamento che assume lo stesso sapore di un invito a non collaborare con le istituzioni: «’O ‘na (che sta per «nano», ndr) datti forza in quelle quattro mura», con un ovvio riferimento alla necessità di non perdere la calma nel chiuso di un carcere minorile. Recluso ad Airola, con l’accusa di tentato omicidio di Arturo, mentre su un altro versante vanno avanti le indagini per chiudere il cerchio attorno agli altri tre esponenti del branco responsabile dei fatti di via Foria. Una inchiesta aperta, sono in corso accertamenti e verifiche, non mancano colpi di scena. È in questo scenario che la Procura dei Minori gioca un’altra carta, quella delle analisi del telefonino cellulare del ragazzino finito agli arresti.
È stata fissata in questo senso un’udienza a porte chiuse, per un esame irripetibile: l’analisi dei contenuti del telefonino cellulare di F.C. Chiaro l’obiettivo della Procura minorile: la «geolocalizzazione» dell’indagato, negli istanti in cui Arturo veniva circondato e ferito da venti coltellate. Una ricostruzione che passa attraverso l’analisi delle chat che si possono ricavare dal telefonino cellulare del minorenne. Si tratta di una mossa che rende necessario un confronto tra accusa e difesa dinanzi a un giudice, con la probabile nomina di consulenti di parte, che dovranno confrontarsi sulla procedura finalizzata ad estrapolare dati, foto o chat ritenuti utili ai fini delle indagini.
A firmare la richiesta di analisi del cellulare, il pm Ettore La Ragione e la procuratrice dei Colli Aminei Maria De Luzenberger, che stanno coordinando il fascicolo sul caso dello studente 17enne vittima dell’aggressione. Ma qual è il punto? Perché aprire la scatola nera del cellulare del 15enne in cella? Il problema principale è la geolocalizzazione del minore indagato che, dal canto suo, nega di aver fatto parte del branco di via Foria, affidandosi a una sorta di doppio alibi: sostiene di essere stato in casa, assieme alla mamma e ad altri parenti, nella fase in cui si è consumata l’aggressione; sostiene di aver trascorso dei minuti on line, a dialogare con alcuni amici via facebook e via whatsapp. Un elemento introdotto nel corso dell’interrogatorio di garanzia, dinanzi al gip Avallone, rispetto al quale la Procura dei minori sente l’esigenza di fare delle verifiche.
Difeso dal penalista Emireno Valteroni, F.C. sostiene invece di essere completamente estraneo alle accuse, dichiarandosi estraneo ai fatti. In lacrime, due giorni fa, il 15enne ha provato a replicare alle accuse che fanno leva su un paio di punti, secondo quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare spiccata lo scorso 24 dicembre: da un lato, F.C. è stato riconosciuto da due testimoni, vale a dire da Arturo e da un altro minore, che pochi minuti prima che il 17enne venisse ferito a colpi di coltellate, era riuscito a sfuggire alla morsa del branco.
Poi, nei suoi confronti ci sono alcuni indizi, come la storia della mise che indossava, quando nei suoi confronti si concentra l’attenzione dei falchi. Sono le sette di sera del 18 dicembre scorso, quando F.C. viene raggiunto per la prima volta dalla polizia: non ha il giubbino, ha una felpa, «a dispetto delle condizioni meteorologiche» in città, come viene scritto dallo stesso giudice per le indagini preliminari. Perché si era tolto il giubbino? Temeva di essere stato immortalato dalle telecamere, dopo essere stato protagonista dell’aggressione di uno studente indifeso? Sul punto, due giorni fa, il 15enne ha provato a fornire una risposta alternativa a quella dell’accusa: «Ero nei pressi di casa mia, ero uscito per fumare una sigaretta, non ho messo il giubbino perché avevo una felpa calda addosso». Suggestioni a parte, ora l’inchiesta punta a circoscrivere dati oggettivi dall’analisi del cellulare del ragazzino che si faceva fotografare con la pistola in pugno, stile «scarface». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino