Li ha convocati e li ha addestrati. Ad uno ad uno, come in una specie di provino, facendogli capire anche che non conveniva tacere su tutto, che qualcosa «alle...
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È il 23 gennaio scorso, quando viene ammazzato Stefano Bocchetti, ritenuto braccio destro dell’emergente Balzano, proprio nei giorni in cui il gip Claudio Marcopido sta ultimando la misura cautelare spiccata quindici giorni fa. Indagini serrate, un omicidio, la corsa contro il tempo. Ed è in questo periodo che viene captato il tentativo di una donna decisa ad organizzare una versione difensiva da presentare agli inquirenti, dopo aver appreso della convocazione di alcuni potenziali testimoni. Decine di omissis, un’inchiesta che punta a stanare killer e mandanti del primo delitto di camorra del 2020, facendo leva anche sulla capacità di persuasione della donna. Appuntamento in serata, tutti i potenziali testimoni da catechizzare - secondo quanto emerge dalle intercettazioni - con un solo obiettivo: depotenziare l’inchiesta della Dda sul delitto di Bocchetti, evitare denunce per false dichiarazioni alle forze di polizia giudiziaria, ma evitare anche di fornire particolari utili alle indagini. Saggezza e pragmatismo femminili, logico attendersi una svolta sotto il profilo investigativo nei confronti di mandanti, killer e fiancheggiatori del gruppo responsabile del delitto Bocchetti.
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Ma torniamo al cuore dell’inchiesta. Decisivo il capitolo investigativo legato al racket, alle estorsioni imposte negli ultimi quattro anni. Dopo la scelta collaborativa dei boss del clan Lo Russo (parliamo dei fratelli Carlo e Mario, ma anche di Antonio, a sua volta figlio di Salvatore, quest’ultimo pentito dal 2010), il clan ha continuato ad imporre il pizzo, sotto l’egida di Matteo Balzano. E il libro contabile trovato dagli inquirenti nel corso di un blitz in una delle case usate dal clan ha consentito di svelare gli incassi ricavati dalle estorsioni. Un documento prezioso, anche alla luce delle valutazioni del gip, che svela la strategia dell’ultima generazione dei Lo Russo, in una galleria segnata dalla sofferenza di commercianti e imprenditori. Ricordate quelle pagine pubblicate alcuni giorni fa? Stando agli inquirenti, il boss avrebbe imposto trattamenti soft nei confronti di alcuni commercianti; e azioni violente nei confronti di altri imprenditori o titolari dei negozi.
Tutto scritto nel registro contabile, dove spiccano nomi, cifre, scadenze e condotte da assumere di volta in volta, a dimostrazione di una pressione estorsiva rimasta alta, a dispetto di arresti, sequestri e indagini legate alla faida del 2015.
E non è l’unico retroscena emerso dalle indagini più recenti. C’è un intero capitolo legato alla gestione delle informazioni decisive per la sopravvivenza del clan o ai contatti tra il mondo di dentro (quello all’interno delle celle) e il mondo vissuto da chi è libero di presidiare il territori. Una storia di telefoni cellulari che entrano e escono dalle celle, di conversazioni tenute tra mogli di detenuti che contattano i loro cari reclusi dietro le sbarre. Ed è grazie a queste conversazioni, che si scoprono i rapporti di buon vicinato tra il gruppo dei nuovi Lo Russo e il clan di Emanuele Sibillo, a sua volta detenuto come reggente della paranza dei bimbi di Forcella.
Scenari fluidi, in divenire, captati in tempo reale, come la storia della donna che interviene poche ore dopo il delitto di un affiliato al gruppo di Balzano. La donna che convoca gli uomini, che fissa appuntamenti e che dà i consigli giusti per dribblare le indagini sul delitto, per fornire una versione di comodo sul primo delitto di camorra a Napoli, lì nel cuore pulsante di «abbasc Miano». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino