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Trasporti inesistenti e pochissimi asili nido. Dall’altro lato, indicatori economici che segnano una stagnazione di redditi e consumi: dagli indici di disoccupazione passando per gli ex percettori del reddito di cittadinanza (il quadrupolo della media italiana) e il numero delle imprese in fallimento (il doppio della media italiana) o i protesti sino alle compravendite immobiliari. Senza contare il saldo negativo delle emigrazioni certificato di nuovo ieri dall’ultimo rapporto Svimez. E sulla sicurezza pesano non solo i reati predatori ma anche la durata media delle cause civili (120 giorni in più rispetto alla media italiana).
Tutti indicatori, elaborati dal Sole 24 Ore nella sua classifica annuale, che inchiodano la provincia di Napoli al terz’ultimo posto in tutta Italia. Colpa non certo solo del capoluogo ma anche, e soprattutto, per alcune aree dell’hinterland dove, diciamo la verità, mancano a volte anche i servizi essenziali. Dati non smentibili se basta sfogliare le stesse classifiche del Sole dal 1990 ad oggi e questa provincia, a parte l’anno 2000 con un 65esimo posto che rimane la sua performance migliore, viaggia sempre in fondo nelle ultime posizioni. E così anche quest’anno se tutti gli indici relegano Napoli attorno al centesimo posto. Nella media finale, quindi, è quasi scontato il terzultimo posto.
Ma, attenzione, se sfogliamo altre classifiche il risultato è sempre lo stesso. Quella elaborata, tanto per citarne una recente, da ItaliaOggi e Ital Communications con la Sapienza di Roma il 21 novembre scorso ci mette al 99esimo posto. Al 101esimo posto invece il rapporto sul BenVivere delle Province italiane 2023 presentato al festival nazionale dell’Economia civile a Firenze il 2 ottobre scorso. Poco più sopra di quella del Sole24 Ore, di due giorni fa. Ma, insomma, siamo sempre lì: in fondo alla lista.
Perché, offerta culturale e boom turistico di Napoli degli ultimi mesi a parte (che per altro non è stato considerato in questo studio), non c’è classifica che non ci piazzi agli ultimi posti. A cominciare da quelle sulla mobilità e dei servizi ai cittadini che si ripercuotono sulla vita di alcune categorie. Prendi gli indici di occupazione delle donne: non potranno mai risalire se, Napoli, rimane in coda per il numero di asili nido. La media europea prevede almeno 33 posti su 100 bambini da zero a tre anni mentre qui siamo ad appena 10,4. Pochi, troppo pochi. E sul fronte del trasporto pubblico nonostante i passi avanti, pur innegabili, ci sono intere cittadine della provincia che, pur grandi quasi come un capoluogo, non hanno alcun tipo di trasporto. Anzi, per effetto del fallimento di alcune aziende partecipate di trasporto su gomma, qualche anno fa, si è registrata addirittura una contrazione dei servizi.
Eppure gli indicatori usati dal quotidiano economico sono tutti certificati da istituzioni e istituti di ricerca di primo livello (Ministeri, Istat, Inps, tra gli altri) o da enti di ricerca di primo livello. Senza dimenticare che alcune realtà di questa provincia, quelle non toccate dai flussi turistici, vivono spesso in un cono d’ombra per la qualità offerta ai propri cittadini. Senza contare i numeri elaborati ogni anno dalle associazioni ambientaliste sul consumo di suolo (qui siamo primi in lista) per cementificare mentre al contempo siamo in fondo per il numero di parchi pubblici, alberi piantati, offerta di trasporto pubblico e piste ciclabili.
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