Napoli, dottoressa del 118 minacciata. Galano: «La nostra vita a rischio siamo medici, non eroi»

Parla il responsabile della centrale operativa del 118

Napoli, dottoressa del 118 minacciata. Galano: «La nostra vita a rischio siamo medici, non eroi»
«Se siamo arrivati alle pistole puntate contro i medici che vengono a salvare la vita a chi sta male è perché c'è un imbarbarimento civile, tra...

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«Se siamo arrivati alle pistole puntate contro i medici che vengono a salvare la vita a chi sta male è perché c'è un imbarbarimento civile, tra follie individuali, degrado culturale ed esibizionismo di potere violento. Dall'altro le persone non hanno più fiducia nello Stato. Incidono anche le difficoltà a garantire un servizio efficiente che assicuri assistenza articolata e costante, giorno e notte, a casa del malato e in ambulatorio e non solo in ospedale». Così Giuseppe Galano, delegato regionale del sindacato degli anestesisti rianimatori (Aaroi Emac) nonché responsabile della centrale operativa del 118.

Dottor Galano, 65 aggressioni dall'inizio del anno: il 118 è il più bersagliato. Cosa fare?
«Rendere i servizi salvavita, come 118 e pronto soccorso, efficienti, ben organizzati, dotati di una sufficiente dotazione di personale assicurando un riconoscimento economico e professionale. Poi collocare questi servizi di frontiera all'interno di reti che funzionino bene in supporto degli operatori. Ciò al netto di casi e aggressioni fuori da ogni possibilità di intervento perché frutto di follie individuali o di delinquenza pura».

Cosa le ha detto la dottoressa aggredita?
«Mi ha raccontato momenti terribili. Aveva subito altre aggressioni ma mai di questa gravità. La persona che ha puntato la pistola era anziana, alterata. La paura è stata tanta. Ciononostante, sia lei sia l'infermiera, sia l'autista, a sua volta aggredito in strada, non hanno lasciato il servizio. Un esempio civile di altissimo livello».

Cosa andrebbe fatto?
«I medici che lavorano con tale abnegazione sono servitori dello Stato di cui lo Stato poco si occupa: mancano gratificazioni economiche e professionali. Negli ultimi due anni 40 colleghi si sono dimessi. Bravi, formati, lavoravano con passione e che non potranno più salvare vite come fatto negli anni duri della loro carriera e durante la pandemia. Non si può essere eroi solo per un giorno. Questo patrimonio una volta perso non si recupera più».

Quanto incide il fatto che siete pochi?
«Incide perché qualche volta viene meno la qualità e la tempestività. Il 118 di Napoli è giunto a livelli critici di carenza in tutti i profili professionali, medici, infermieri, autisti e tecnici. I concorsi vanno deserti. A ciò va aggiunto il decennale blocco del turn over, la naturale quiescenza, l'incombente burn out che induce migrazione volontaria del personale in altre strutture, l'alta esposizione alle aggressioni e la mancata gratificazione economica. Carenze per le quali è arrivato anche il parziale contingentamento ferie del periodo natalizio».

La gente è esasperata?
«Non è un alibi, la maggior parte è gente civile che collabora, ma incide anche l'idea di un servizio scadente. La gente spesso ha bisogno di un medico che li visiti e li valuti per vari motivi. Anche solo per avere rassicurazioni. Questo anello manca e fingono la maggiore gravità fuorviando i colleghi di centrale. Questo aggrava il lavoro, sottrae energie ai casi più gravi e ingolfa inutilmente il sistema di soccorso già al limite».

Le Case della Salute ci salveranno?
«Passeranno anni e non c'è alcuna previsione di fondi per il personale. La Regione lo ha denunciato sui tavoli romani. La portata di questo problema è enorme».

Il problema è anche culturale?
«Certo, c'è un imbarbarimento. L'esibizione dell'arroganza da parte di chi in famiglia o nel quartiere si sente protetto. La Sanità è l'anello più debole e meno difeso di uno Stato che fornisce servizi di cui pochi hanno fiducia. C'è l'idea preconcetta di una prestazione scadente da correggere con la violenza come quando si scavalca una fila troppo lunga pensando sia causata dall'inefficienza dello sportellista alla Posta. Un modo intollerante e violento, fuori bersaglio, per reclamare diritti».

C'è anche una parte sana della società che vi riconosce e rispetta.
«Si e sono la maggioranza».

Le guardie giurate?


«Oramai tutti sanno che hanno armi spuntate e non possono fermare gli aggressori. Sono convinto che informazione e formazione a livello culturale, scolastico, nelle parrocchie sarebbe utile e necessario, anzi indispensabile».
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Il Mattino