A prescindere: come Maradona meritava l’omaggio del San Carlo, e qualsiasi altro omaggio alla sua arte calcistica, così Totò merita il titolo di dottore in...
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«Dalla Sanità all’università», dice il titolo del suo intervento, Renzo.
«Non c’è persona più meritevole di lui a ricevere una laurea alla memoria, quasi unica nel suo genere. E in una disciplina nuova, ma che lui dominava del tutto: ha fatto il varietà, l’avanspettacolo, i film comici, i film drammatici, la televisione, le canzoni, i dischi con le scenette... Non siamo noi a laurearlo, ma le milioni di risate che ci ha regalato: se dopo cinquant’anni dalla sua morte siamo ancora qui a ridere con lui ci sarà un motivo».
Eppure non tutti in università sembrano aver gradito l’idea.
«Sarà, ma non so davvero chi potesse essere contrario. E, devo dire, che appena ho avanzato la proposta della laurea post mortem sono rimasto persino sorpreso dalla risposta, immediatamente positiva, anzi entusiasta. C’è stato un tempo in cui Totò era il comico del popolo, ignorato dai presunti intellettuali e al massimo accettato dalla borghesia: penso a mio a padre a Foggia, a lui stava bene, ma lo liquidava come “una farsa”. Ora davvero non so chi pensi di poter insegnare Discipline dello spettacolo senza dirsi suo devoto allievo e studioso. Totò è napoletano, ma ha fatto il militare a Cuneo, è internazionale come Chaplin».
Anticipiamo il cuore della sua laudatio?
«Le sue caratterizzazioni, sottovalutate un tempo - appena arrivai a Roma iniziai a interrogare su di lui tutti i registi con cui aveva lavorato, scoprendo che l’avevano preso a dir poco sotto gamba - ci parlano - oggi come ieri e questo è un miracolo - di una maschera come quelle della Commedia dell’arte, ma capace di segnare il suo tempo e quello a venire, di un attore rivoluzionario nei modi e nella sostanza, di un autore capace di scrivere improvvisando col e nel proprio corpo le scene da girare, riempiendole come nessun altro mai. Pur celebrato, scoperto, riscoperto, sdoganato, Totò non è ancora stato riconosciuto come il più grande attore cinematografico italiano tout court».
A venticinque anni dalla sua morte lei gli dedicò uno storico programma Rai: era già una laudatio, anche se, per fortuna, poco accademica e paludata.
«Era l’omaggio di un appassionato, di un fan, di un amante, di un ammiratore. Declinai l’arte totoista per tutti: bimbi, giovani, adulti e anziani. Per ogni generazione, per ogni età della nostra vita, c’è un Totò possibile, un frizzo e un lazzo in agguato, una quisquilia o una pinzillachera profonde come una poesia, un lampo di occhi o un ghigno denso come un capolavoro pittorico. In quello show ebbi un cast straordinario, con Alberto Sordi, Corrado Mantoni, Franca Faldini, Pietro De Vico con la moglie Anna Campori, Mario Monicelli, Nanni Loy, Ben Gazzara, Galeazzo Benti...».
Venticinque anni dopo quella trasmissione, parteciperà anche alla «Serata Totò» in onda proprio sabato 15 aprile.
«Ci sarò, non potrei mai mancare, peccato solo che sarà in seconda serata. Sarò tra gli ospiti di un tributo curato da Ugo Porcelli e Marco Giusti, ascolterete anche Fausto Cigliano e Teddy Reno, presentati da Serena Rossi. Come faccio sempre nei miei sciagurati, e ormai antichi, programmi tv, come facevo in radio agli esordi, sarò pronto a dire ancora una volta grazie a Totò, che anche se si volle fare principe non teneva ai titoli, ma che questo che gli daremo alla Federico II, di dottore in Discipline dello spettacolo, lo avrebbe gradito, ne sono sicuro: era un uomo di spettacolo, non un caporale qualsiasi».
Insomma, come presenterà il neolaureato agli studenti napoletani?
«Come un maestro di chiunque faccia show in Italia. Ma anche come uno zio, lo zio Antonio de Curtis che veniva da Napoli e faceva divertire al cinema il piccolo Renzo nella piccola Foggia. Come l’artista che un tempo ha unito l’Italia contadina, proletaria e borghese, e oggi continua a crescere intere generazioni». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino