Napoli, il papà dello studente accoltellato: «Mio figlio ferito a scuola, basta armi e social cattivi»

Episodio accaduto in classe, il coltello non si trova

Polizia nella scuola Marie Curie di Ponticelli
Sa di essere miracolato, perché ha il figlio accanto a sè, che se l’è cavata (solo) con una ferita superficiale. Non ha intenzione di strumentalizzare...

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Sa di essere miracolato, perché ha il figlio accanto a sè, che se l’è cavata (solo) con una ferita superficiale. Non ha intenzione di strumentalizzare la sofferenza subita, «anche per rispetto dei genitori del giovane aggressore che ha ferito il proprio ragazzo». Ma ci tiene a battere su alcuni punti, che rappresentano i punti cardine della propria vita: «Chiedo ai giovani di deporre le armi, chiedo loro di smetterla con le armi e con quei toni minacciosi e aggressivi dei social, bisogna cambiare registro. Altrimenti, la morte di un ragazzo come Giogiò, non ci ha insegnato niente».

Ponticelli vecchia, palazzine basse, vicine al centro storico del quartiere della periferia orientale, da queste parti si conoscono tutti. Qui vivono famiglie di lavoratori, che mandano i figli a scuola, lontanissime dallo stereotipo dei babykiller cresciuti all’ombra delle famiglie di camorra dei lotti di case popolari. E la testimonianza offerta dal papà del 15enne ferito ieri a scuola è l’esempio di un’altra Napoli, lontana dalle armi e dalle logiche di vendetta che si consumano in contesti criminali. Poche parole bastano al padre del ragazzino ferito (di cui ovviamente non riportiamo particolari identificativi), per battere su concetti che basterebbero da soli a superare l’emergenza giovanile radicata nella nostra area metropolitana.

Accanto alla moglie, al figlio ferito e ai più stretti congiunti, l’uomo sembra schermirsi di fronte a una richiesta di intervista: «Preferisco di no, ci sarà ovviamente un altro momento per commentare quanto accaduto a mio figlio, ma preferisco non aggiungere altro, lo dico per il rispetto che provo per i genitori del ragazzino responsabile dell’aggressione. Anzi - aggiunge - ci tengo a chiarire che non si è trattato di una rissa, di una lite degenerata in un ferimento. Mio figlio è un ragazzo mite, non va a cercare un certo tipo di condotte. È stato ferito, è stato aggredito, per il resto preferisco non andare oltre». Ma c’è un tema sul quale il papà del giovane studente di Ponticelli decide di fornire il suo contributo, alla luce di una galleria di avvenimenti drammatici che si registrano sempre più frequentemente in città e in provincia:

«Una cosa me la sento di dire, ma lo dico rivolgendomi in generale a tutti i ragazzi, alle nuove generazioni: basta con le armi; deponete le armi, smettetela anche con i social aggressivi, sempre pieni di toni di toni minacciosi nei confronti dei propri coetanei, non è la strada giusta, anzi, serve una immediata inversione di tendenza». Parla da padre, da cittadino, ma anche da educatore, da uomo abituato a confrontarsi con le nuove leve: «Sono un formatore, vicino all’azione cattolica, seguo da una vita la crescita dei ragazzi, specie in un quartiere difficile come quello in cui viviamo. È per questo che mi rivolgo a loro, alle loro vite e lo faccio alla luce di uno stato d’animo segnato dal dolore per quanto avvenuto di recente». A cosa fa riferimento? Precedente fin troppo doloroso nella coscienza di un padre, di un cittadino, di un educatore: «Penso al dolore per la morte di Giogiò. Appena qualche settimana fa, abbiamo vissuto lo strazio per la morte di Giogiò, ora assistiamo ad altra violenza, ad altre armi. Allora vuol dire che la morte di Giogiò non ci ha insegnato niente, non ci ha spinto a migliorare, non voglio credere che sia così, perché Napoli è altra e i giovani devono dimostrare che la morte di Giogiò non è avvenuta inutilmente. Basta violenza, Napoli non è questa». 


Parole che giungono al termine di una giornata pesante, scandita da una sorta di altalena di emozioni. Prima la telefonata dalla scuola, poi la corsa in ospedale. L’incontro con i medici del Pronto soccorso, fino a raggiungere la certezza dello scampato pericolo. 


Un intero nucleo familiare in apnea. Mamma, papà, i nonni. Paura a fette, poi il sollievo. Ma anche la giusta dose di passione che spinge un uomo della buona periferia napoletana a battere sempre sugli stessi valori, che hanno modellato la sua esistenza. Quelli di sempre: studio, formazione, lavoro dialogo, comportamenti miti, rispetto verso l’altro. Una vicenda che ora passa attraverso una rielaborazione dell’accaduto, con una possibile apertura a una svolta costruttiva: l’incontro tra i due protagonisti di questa vicenda. L’abbraccio tra aggressore e vittima, come esempio a superare la violenza, rimuovere ogni possibile vendetta per garantire una possibilità di riscatto a chi ha impugnato un’arma senza un motivo, dimenticando - tra l’altro - il dolore per il musicista ucciso in piazza Municipio. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino