Napoli, morto Giuseppe Rosati: l'imprenditore sognatore nel '74 fece risorgere il Gambrinus

Aveva 82 anni, il patto firmato con i fratelli Sergio

Giuseppe Rosati
Un drappo nero sul Gran Caffè Gambrinus. Ieri pomeriggio e oggi, tutto il giorno, le sale affrescate e le macchine dell'espresso napoletano più famoso sono ferme...

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Un drappo nero sul Gran Caffè Gambrinus. Ieri pomeriggio e oggi, tutto il giorno, le sale affrescate e le macchine dell'espresso napoletano più famoso sono ferme per lutto. La morte di uno dei fondatori del bar più famoso di Napoli abbassa le saracinesche dello storico locale, tra piazza Trieste e Trento e via Chiaia, e consegna una giornata di dolore e tristezza al cuore della Napoli dell'arte e della tradizione.

Avrebbe compiuto 83 anni il prossimo 14 febbraio, Giuseppe Rosati, i cui funerali si terranno stamattina alle 11 nella Basilica di San Francesco di Paola, proprio in quell'amata piazza del Plebiscito. Imprenditore esperto e apprezzato, lascia la moglie Maria Teresa e i figli Katia e Massimiliano. Proprio in famiglia, nacque l'idea e il patto che portò, nel 1974, alla resurrezione del bar, dopo oltre 35 anni di chiusura. Michele Sergio, i figli Arturo e Antonio, e il genero Giuseppe Rosati decisero che quell'angolo di storia doveva essere restituito alla città. Il Gambrinus, infatti, era stato fondato nel 1860, in piena Bella epoque, un periodo a suo modo magico per la città. Tutto diventava ispirazione, bellezza, cultura, incontro, arte.

E il Caffè Gambrinus ne era il palcoscenico naturale, come me ha scritto Giovanni Artieri, in Napoli nobilissima, nel 1954. Il palco dell'eleganza, l'alta borghesia napoletana, gli artisti, gli intellettuali. Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo, Ernesto Murolo, Eduardo Scarpetta, Ferdinando Russo, Libero Bovio. E le incursioni di Gabriele D'Annunzio, che su quei tavolini andava a scrivere. Oggi l'avremmo chiamata, orridamente, movida. Non erano aperitivi ma erano raduni vocianti e musicali, vivi e creativi, appuntamenti mondani. Il tutto fino al 1938 quando, su azione dell'allora prefetto di Napoli, Giovanni Battista Marziali, che comunicò a Mussolini che il Gambrinus era un covo di antifascisti, il locale fu chiuso.

In realtà, le indiscrezioni dell'epoca riferiscono che a volere la chiusura fu la moglie del prefetto, infastidita dai rumori e dalle voci provenienti fino a tardi della sale del caffè. La movida, appunto. Nelle stanze storiche furono allestiti gli uffici di una banca. Tutto questo fino a che, nel 1974, la famiglia Sergio (con in testa Michele, scomparso a 80 anni nel 1996), con l'apporto fondamentale di Giuseppe Rosati, non si è lanciata nell'avventura della riapertura. Il sogno era riportare quel luogo ai fasti di una volta. Non c'era più la Bella epoque, e non sarebbe mai più tornata. Era una Napoli diversa, stretta tra il colera dei primi anni Settanta e il terremoto del 1980.

Una Napoli non così turistica, ancora lenta, affaticata e coperta. Ma chi aveva puntato sul Gambrinus aveva visto lontano. Arte, eleganza, tradizione: un lavoro di cesello quello di questa famiglia. Ostinazione, visione. E i fatti gli hanno dato ragione. La resurrezione, la rinascita. Il Gambrinus è diventato il bar di Giorgio Napolitano e di Sergio Mattarella, dello scrittore Maurizio De Giovanni, di star internazionali e intellettuali. E, oggi, ovviamente, di tanti turisti, che lo trovano segnato sulle guide e ne affollano incantati le sale. Tutto questo reso possibile da chi, come Giuseppe Rosati, che oggi la Napoli della storia e dell'impresa piange, ha visto il futuro entrare molto prima che accadesse.
 

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Il Mattino