Napoli, palazzo crollato a Chiaia, il pm chiede le condanne: «Ignorati tutti gli allarmi»

Napoli, palazzo crollato a Chiaia, il pm chiede le condanne: «Ignorati tutti gli allarmi»
Tutto ruota attorno a una riunione, quella del 28 gennaio del 2013. Fu in quell’occasione che si decise proseguire con i lavori, a dispetto dei segnali di pericolo che...

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Tutto ruota attorno a una riunione, quella del 28 gennaio del 2013. Fu in quell’occasione che si decise proseguire con i lavori, a dispetto dei segnali di pericolo che comunque erano giunti dal territorio. Eppure, pochi giorni prima di quella riunione, esattamente il 23 gennaio, ci furono dei segnali di pericolo evidenti: infiltrazioni di acqua all’interno di una paninoteca lungo via Riviera di Chiaia; ma anche smottamenti in alri edifici nella zona circostante. Segnali di pericolo che non impedirono di portare avanti i lavori per la realizzazione della stazione della Linea sei, la tanto agognata metropolitana del mare, da Mergellina a piazzale Tecchio. 

Aula 211, parla il pm Federica D’Amodio, magistrato in forza al pool coordinato dal procuratore aggiunto Simona Di Monte, è il momento della richiesta di condanna. Disastro colposo è l’accusa legata al crollo di un edificio storico, Palazzo Guevara di Bovino, lungo via Riviera di Chiaia (4 marzo del 2013). Un evento per molti versi miracoloso, dal momento che, nonostante l’epilogo rovinoso, non ci furono lutti, grazie alla prontezza di residenti e cittadini che riuscirono a mettersi in salvo. Ma torniamo all’udienza di ieri mattina, al termine di una istruttoria dedicata in gran parte all’analisi delle perizie depositate agli atti. Ed è sulla consulenza di Augenti, che la Procura fa leva per la sua richiesta ai giudici. In via preliminare, viene chiesta l’assoluzione per il progettista Ettore Sacco e per Ciro De Luca; ecco invece le richieste di condanna: due anni per Gino Zanchino, presidente del consorzio Trevi sgf; due anni per Gabriele Santangelo, in qualità di direttore di cantiere della Trevi Sgf; un anno e sei mesi per Paolo Santangelo, capocantiere della Trevi Sgf; due anni per Giorgio Mormone e Vincenzo Scotti, componenti del comitato tecnico esecutivo di Arco Mirelli scarl; un anno e sei mesi per Angiolino Bellizzi, capo cantiere di Arco Mirelli scarl; due anni per Stefano Aversa, esponente del comitato tecnico scientifico del Comune, chiamato a svolgere un ruolo di controllo; due anni e sei mesi per Angelo Ribecco, direttore dei lavori per Ansaldo; due anni e sei mesi per Raffaele Imparato, rup del Comune; due anni e sei mesi per Antonio Liguori e Federico Moccia, rispettivamente direttore di concessione e project manager per Ansaldo.

Una vicenda nel corso della quale sono stati ripercorsi i rapporti contrattuali che hanno messo insieme, attorno allo stesso tavoli, il Comune di Napoli, la Ansaldo (in qualità di concessionaria aggiudicatrice dell’appalto), il Consorzio Arco Mirelli scarl che diventa società esecutrice; ma anche i controllori ed esponenti di un comitato tecnico scientifico. Stando alla ricostruzione dell’accusa, il crollo dell’edificio dipese che da infiltrazioni di acqua nel corso dei lavori, che non vennero però bloccati: «Nella riunione del 28 gennaio - ha spiegato il pm - c’era la consapevolezza della pericolosità in atto, anche se nessuno dei soggetti interessati poteva immaginare una conseguenza simile». Diversa la posizione degli imputati. Difesi, tra gli altri, dai penalisti Claudio Botti, Orazio De Bernardo, Giuseppe Fusco, Gennaro Lepre, Enrico Frojo, Mauro Valentino, tutti gli imputati vanno ritenuti estranei alle accuse fino a una eventuale condanna definitiva. Si dicono infatti pronti - perizie di parte alla mano - a ribaltare le conclusioni della Procura, a proposito del rapporto causale tra i lavori e il crollo dell’edificio. Non è mancato un momento di confronto con le parti civili (anche il Comune si è costituito parte civile), rappresentate - tra gli altri – dall’avvocato Alessandro Motta. Ha spiegato uno dei difensori: «La mia cliente ha superato gli ottanta anni, dopo il crollo è stata costretta a rinunciare al bene più caro, la sua abitazione». 

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Il Mattino