Napoli, patto tra boss e borghesia: assalto all’economia pulita

Il ruolo di prestanome e commercialisti, dietro il boom di una certa ristorazione

Il Gico alla pizzeria Dal Presidente

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Urla al telefono, per far sentire le proprie ragioni e chiarisce un concetto su cui fa leva un pezzo della nostra economia (malata): «Come? La pizzeria? Ah la mia pizzeria... se ti devo dire come è fatta, allora ti confesso che l’ho vista una sola volta nella mia vita». Parola di Deborah Capasso, una presunta prestanome a cui era stata intestata la pizzeria Dal Presidente, la presunta testa di legno, che da ieri è finita in cella nel corso di un’inchiesta della Procura di Napoli.

Parliamo di riciclaggio: o meglio, del riciclaggio applicato al miracolo del food and beverage napoletano. Intercettazioni e indagini che bastano da sole a fotografare un fenomeno, a raccontare la metamorfosi di vicoli e piazze all’ombra del grande boom del turismo e della ristorazione. Esiti processuali a parte, la storia del reimpiego del denaro sporco a Napoli è tutta nelle parole di Deborah, ma anche nella sintesi al centro delle indagini della Dda di Napoli, che si muove in sintonia con quanto sta avvenendo a Milano, a Torino, e con quanto verificato non molti anni fa all’ombra di via del Corso a Roma.

È la storia di un abbraccio: quello tra uno o più prestanomi, consulenti finanziari (commercialisti e avvocati in primis), architetti ed impiegati della soprintendenza (di fronte alla necessità di sbloccare pratiche per trasformare un basso in una pizzeria con tanto di forno a legna), per arrivare poi al grande protagonista: il soldo sporco, quello messo sul tavolo dalle mafie. Un fenomeno che, nell’ottica degli inquirenti, trova nel blitz di ieri la classica punta di iceberg.

Un fenomeno (e una traiettoria investigativa) che va raccontata a partire da una premessa: non c’è nessuna intenzione da parte di questo giornale di generalizzare e di colpire un intero comparto della nostra economia - quello legato alla pizza, il cibo napoletano più famoso e diffuso al mondo -, ma c’è l’esigenza di fare chiarezza, a tutela dei tantissimi imprenditori onesti (la maggioranza) che vanno avanti da soli, senza attingere a capitali di dubbia provenienza. Ma torniamo al riciclaggio in alcuni punti della città.

Esiste una frontiera, che è quella di pizza connection, che ha un’origine opaca: quella dei proventi di droga, estorsioni, merci false. Una montagna di soldi che va riciclata, va ripulita. In che modo? Negli anni del post covid, esistono due canali rapidi ed efficaci di riciclaggio: il food e la ricezione turistica. E seguiamo le indagini dei pm Alessandra Converso, Ida Teresi, Daniela Varone, magistrati in forza al pool guidati dall’aggiunto Sergio Ferrigno e dallo stesso procuratore Nicola Gratteri. 

Si tratta di due canali in cui si consuma la relazione pericolosa tra pezzi della nostra borghesia delle professioni e dell’artigianato, un pezzo di burocrazia (tra uffici della municipalità e della sovrintendenza, per ottenere “scia” e permessi) e la camorra. Ragioniamo alle luce del sequestro della pizzeria Dal presidente, forte delle verifiche dei finanzieri del nucleo di polizia economica e finanziaria del colonnello Paolo Consiglio. In genere, si parte da un’asta immobiliare: quella che consente di acquisire per poco e niente un intero edificio storico che fu di una baronessa nata negli anni Trenta dello scorso secolo. 

Un prequel decisivo, quello delle aste immobiliari, che non a caso vede operativi i clan dell’Alleanza di Secondigliano, come ha svelato un’indagine del Ros a carico di Maria Licciardi. Case o bassi a scarso prezzo, che diventano oro, grazie a pratiche che saltano da una scrivania all’altra con metodi tutti da verificare. Dal Municipio alla Sovrintendenza in pochi mesi ed ecco che ti sbuca un forno a legna o una friggitoria a pochi passi dai Palazzi abitati dai D’Avalos, dai Serra di Cassano, dai Carafa e dalle principali dinastie familiari napoletane. Stesso pressing su antiche botteghe artigianali, che hanno lasciato il centro storico (a Napoli come in altre aree metropolitane del Paese) per fare spazio all’onda della movida. 

Un fenomeno, quello della movida, che rende dinamica ed attrattiva la nostra economia, dove però non sono mancate infiltrazioni criminali. Ed è così che accanto alla presunta prestanome Deborah, si leggono i nomi dell’agente di polizia Guido Albano, ritenuto al servizio dell’imprenditore in odore di camorra, della commercialista Giulia Nappo (che finiscono entrambi ai domiciliari).

Un ruolo strategico, quello di commercialisti e fiscalisti, secondo le ultime indagini, quando si devono convertire attività o cambiare ragione sociale, come appare evidente da un alert spedito dal Ministero dell’Economia ai reparti operativi territoriali della Guardia di Finanza. In cosa consiste il nuovo Sos? C’è un esercito di facilitatori che interviene sulle attività della ristorazione e del turismo, per infiltrare capitali sporchi dell’economia pulita. Se non è pizza connection, poco ci manca. 

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Il Mattino