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Il presidente del partito, Matteo Orfini, la difende senza se e senza ma: «L'atto di sfiducia nei confronti di Valeria Valente appare come un tentativo piuttosto evidente di cercare un capro espiatorio per i problemi del Pd a Napoli e in Campania». Esponente dei Giovani turchi, Valente vinse le primarie Dem (con la nota coda di polemiche per il ricorso dello sconfitto Antonio Bassolino, dopo i video sui soldi distribuiti all'esterno di alcuni seggi) ma alle comunali del 2016 uscì al primo turno, senza riuscire ad approdare al ballottaggio. Fu eletta alla guida della piccola pattuglia di consiglieri dem (cinque in tutto, lei compresa), ma l'inchiesta sui candidati ha fatto esplodere tensioni che da tempo attraversavano il gruppo.
Oggi tre consiglieri hanno firmato una richiesta di dimissioni, che dopo poche ore la deputata ha accolto. «Per me - commenta Valente - è un momento di grande amarezza. Soprattutto per l'uso strumentale che viene fatto dell'intera vicenda. Pago l'aver avuto il coraggio di sfidare, con la scelta di candidarmi a sindaco, personalità importanti e i loro sistemi di potere. Fin dai giorni successivi all'apertura dell'inchiesta sui candidati a loro insaputa, inchiesta in cui non sono indagata, e rispetto alla quale continuo con fermezza a ribadire la mia totale e assoluta estraneità, avrei potuto continuare a mantenere la carica di capogruppo soltanto in presenza di una fiducia piena.
«Fin dai giorni successivi all'apertura dell'inchiesta sui candidati a loro insaputa, inchiesta in cui non sono indagata, e rispetto alla quale continuo con fermezza a ribadire la mia totale e assoluta estraneità, avrei potuto continuare a mantenere la carica di capogruppo soltanto in presenza di una fiducia piena da parte del gruppo. Venuta meno questa fiducia, viene meno anche la mia funzione in Consiglio comunale di capogruppo del Pd» si legge nella lettera in cui la Valente annuncia le sue dimissioni. «Come avevo detto più volte in queste settimane di fronte alla richiesta che mi è stata formalizzata stamattina dai componenti del gruppo consiliare e anticipata dalle dichiarazioni del segretario regionale della Campania rese nel corso dell'assemblea pubblica di venerdì scorso, non posso che lasciare il ruolo da capogruppo del Pd al Consiglio comunale di Napoli».
«È stato un ruolo, quello di capogruppo, che ho deciso di ricoprire, su richiesta e d'intesa con il Pd, per aiutare il mio partito a ricostruirsi un profilo politico e un radicamento in città dopo il risultato bruciante alle elezioni amministrative a Napoli, dove ha ottenuto un brutto 11%, frutto di anni di assenza e di mancata opposizione in Consiglio comunale a de Magistris, ma frutto anche di tante divisioni, alimentate prima e dopo, durante le primarie e nel corso della campagna elettorale, da chi ha dimostrato di essere mosso più dallo spirito di rivalsa personale, che dalla battaglia in nome di Napoli. Per quel risultato, per quell'11%, così come del resto su molte altre cose, ancora oggi, nessuno, a parte la sottoscritta, ha sentito il dovere di assumersi la sua parte di responsabilità», scrive ancora la deputata.
«Per me, inutile negarlo, è un momento di grande amarezza. Soprattutto per l'uso strumentale che viene fatto dell'intera vicenda. Pago l'aver avuto il coraggio di sfidare, con la scelta di candidarmi a sindaco, personalità importanti e i loro sistemi di potere, l'ambizione di aver provato e creduto che fosse possibile costruire un profilo di opposizione non succube alle logiche del consenso personale dei singoli, ma che tornasse ad avere la voglia di parlare a pezzi di opinione pubblica in ragione di battaglie chiare e visibili, il non essermi fermata anche quando mi veniva chiesto, l'avere scelto a volte di andare avanti da sola senza fare sconti a nessuno, senza paura, forte di una vita specchiata, del mio rigore e della mia assoluta onestà, senza avere nessun potere forte alle spalle. L'avere sfidato pratiche fatte di silenzi, assenze e mancate contestazioni e consociativismo sotterraneo che hanno caratterizzato e caratterizzano pezzi del Pd in cambio della gestione di pezzi di potere funzionali a costruire fette di consenso personale», conclude la deputata. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino