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Sono in aumento, decisamente in aumento. Dati vistosi, preoccupanti, anche solo se si fa un raffronto tra un anno e l’altro. Minori vittime di adescamento on line, un allarme non nuovo da queste parti, che si conferma in tutta la sua urgenza proprio alla luce dei bilanci più recenti. Reati telematici, pedopornografia in agguato, quanto basta a ipotizzare l’esistenza di una base napoletana, una struttura che potrebbe trasformare un fenomeno internazionale in una realtà “glocal”. Nel senso tecnico del termine: un fenomeno globale (che si manifesta in tutte le parti del mondo), ma che è anche fortemente radicato. Boom di esposti nel corso dell’ultimo anno, una media di due denunce al giorno, vicende destinate al lavoro di una delle sezioni specialistiche dell’ufficio inquirente: il pool reati a tutela delle fasce deboli, ora più che mai alle prese con una nuova frontiera dei reati telematici. Di cosa stiamo parlando? A leggere esposti e segnalazioni giunti in questi mesi ai vari organi di polizia giudiziaria, si fa riferimento all’adescamento di minori, tramite dei capture - delle esche acchiappa consensi - che si stanno rilevando drammaticamente efficaci. Decine, anzi centinaia di storie diverse in un anno, che offrono delle linee comuni, al punto tale da rendere possibile - almeno in linea di principio - una ipotesi choc: che riguarda l’esistenza di una sorta di struttura, un gruppo con funzioni differenti che prova ad adescare minori, inducendoli a postare o registrare foto e immagini da censura sui circuiti social. Indagini serrate, culminate appena due giorni fa negli arresti di sette indagati, grazie alle indagini della polizia postale agli ordini del primo dirigente Rosaria Romano.
Una struttura organizzata su più livelli, che si muove con un chiaro motivo commerciale, legato alla diffusione di immagini hot che ritraggono scene assolutamente proibite (che coinvolgono pertanto minori privi di capacità di discernimento, dalla guardia inevitabilmente bassa). Tante denunce, boom di segnalazioni, trend in crescita nel corso degli ultimi diciassette mesi - quelli della pandemia - dove la navigazione sui social (e l’isolamento domestico causa lockdown) è letteralmente esplosa.
Materiale che finisce nei circuiti della pedopornografia, magari tramite il deep web. Una trama su più livelli - si diceva - che ha uno sbocco spudoratamente commerciale: la vendita, la messa sul mercato di scene intime di chi non ha avuto la lucidità di prendere le distanze da falsi amici o follower posticci che si sono mostrati con un volto social apparentemente ordinario. Quanto basta a mettere in campo tutti gli strumenti possibili a difesa di categorie deboli, decisamente vulnerabili. Vicende che, in una ipotesi di massima, potrebbero interessare anche il pool reati finanziari, facendo leva sulla competenza di pg specializzate sui reati informatici e sui circuiti economici clandestini. Ma non c’è solo un lavoro di pg, non c’è solo una frontiera investigativa da battere. È anche un problema di formazione, di dialogo, decisivo il confronto con educatori, famiglie, assistenti sociali, docenti e formatori. Chiara la strategia: al di là delle indagini, occorre dialogo e sensibilizzazione, sempre e comunque a tutela delle fasce più sole nell’era dei lockdown e della solitudine domestica.
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