Pisani, la Procura si ferma: niente ricorso in Cassazione

Pisani, la Procura si ferma: niente ricorso in Cassazione
Pianse, quella mattina d’inizio estate, anno 2011. Lacrime di rabbia, nel chiuso del suo ufficio dove per sette anni aveva guidato la squadra mobile di Napoli, il banco di...

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Pianse, quella mattina d’inizio estate, anno 2011. Lacrime di rabbia, nel chiuso del suo ufficio dove per sette anni aveva guidato la squadra mobile di Napoli, il banco di prova più complicato per un poliziotto in carriera. Poi, smaltito lo choc iniziale, scrisse una lettera ai suoi uomini, anzi, un ordine di servizio, l’ultimo comando di Vittorio Pisani: «Continuate a lavorare come avete sempre fatto, al servizio con la Procura della Repubblica di Napoli. Il vostro capo». Oggi, a distanza di quattro anni da quella mattinata in cui lesse il divieto di dimora a Napoli, il primo dirigente Vittorio Pisani ha la certezza che quella storia è finita. Passata: destinta agli archivi, impossibile da rivisitare o da riproporre da un punto di vista investigativo.




Finita, caso Pisani chiuso, almeno per quel che riguarda l’accusa di aver favorito un imprenditore in odore di camorra o comunque in grado di riciclare soldi di dubbia provenienza. Venerdì scorso sono infatti scaduti i termini a disposizione della Procura generale di spedire a Roma un ricorso per Cassazione avverso all’assoluzione dell’ex capo della Mobile. Tradotto in soldoni: niente impugnazione da parte del pg, assoluzione definitiva, passata in giudicato, caso chiuso.



Decisive le motivazioni della sentenza della Corte di appello di Napoli che appena qualche mese fa aveva assolto Pisani, respingendo la richiesta di condanna del sostituto pg Iazzetta, con cui sono in gran parte confermate le conclusioni della settima penale, collegio coordinato da Rosa Romano. Lette le motivazioni, la Procura generale non ha impugnato chiudendo il capitolo dell’inchiesta terremoto nata da accertamenti patrimoniali, una intercettazione ambientale ritenuta esplosiva e dalle dichiarazioni rese dal boss pentito Salvatore Lo Russo, un tempo - per molti anni - confidente numero uno dell’inquilino di via Medina.







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Il Mattino