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Quartieri Spagnoli, domenica mattina, giorno di Napoli-Juve. Un ragazzo gira con il casco in moto, due persone in lontananza le si scorge fare jogging, le strade sono state ripulite e gira un mezzo della nettezza urbana con addetti che ripuliscono ancora.
Certo, sono le 9 di mattina. Quando la città non è ancora nella frenesia di accogliere e ostentarsi ai turisti.
Una città normale, gente che lavora. Solo un po’ più colorata, tranquilla, allegra.
La smettessimo con l’ostentazione non finiremmo come quelle donne bellissime che ricorrono a trucchi o chirurgia, finendo non solo per essere meno belle, ma pure un po’ ridicole.
Se la smettessimo di voler ostentare ciò che per noi è normalità e non è normalità per gli altri solo perché hanno un’identità diversa o perché un’identità non ce l’hanno proprio non finiremmo ad essere meno belli e un po’ pure ridicoli.
Piaccia o no siamo un popolo accomunato da una lingua, tradizioni, musica.
No, a Napoli non si gira tutti i giorni con mandolini e putipù. Normalità è il vivere civile: casco, strade ripulite, lavoro. Sì, siamo un po’ più colorati e, sì, ce pigliammo a iurnata bbona quanno vene. Teniamo un istinto nostro e un modo nostro di leggere le regole del mondo. Fa strano agli altri in un mondo che è sempre più uguale a tutte le latitudini. Fossimo capaci di preservarci questo istinto senza fare le scimmie ammaestrate dello zoo che fanno le iperscimmie per compiacere il visitatore sarebbe meglio. Perché è così che smetteremo di avere un’identità. Diventeremmo codice, clichè. Proprio come ci vogliono. Eccolo qua il ventre di Napoli in un giorno normale. Senza le macchine fotografiche e senza ì saltimbanco. La Napoli che conosciamo noi. Colorata. Perché viviamo colorati. L’eccezione é chi vive un po’ più grigio e vede in noi tutto psichedelico ma la mattina pure noi ce aizamm e iamm a faticà.
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