Napoli, festa di compleanno per la ferrovia sparita: lo scandalo della Bayard

Napoli, festa di compleanno per la ferrovia sparita: lo scandalo della Bayard
Si fa festa, è il compleanno numero 180 della prima linea ferroviaria d'Italia, la Napoli-Portici inaugurata nel 1839 da Ferdinando I di Borbone. Si festeggia...

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Si fa festa, è il compleanno numero 180 della prima linea ferroviaria d'Italia, la Napoli-Portici inaugurata nel 1839 da Ferdinando I di Borbone. Si festeggia quell'esempio di lungimiranza e svolta tecnologica del quale oggi non c'è nessuna memoria se non nel meraviglioso museo di Pietrarsa.


Quel che resta dell'opera d'ingegno del francese Bayard sostenuta dalla visone illuminata dell'allora re di Napoli sono le locomotive lucidate nel museo e la stazione di Napoli, il primo capolinea ferroviario d'Italia.
 
Si chiama (si chiamava) stazione Bayard in onore dell'uomo che venne a costruire a Napoli la prima strada ferrata d'Italia. Quel che resta di quello splendido edificio lo vedete nella fotografia pubblicata al centro di questa pagina. Vicino a quella foto c'è una riproduzione di un quadro di Salvatore Fergola che rappresentò la stazione Bayard nei giorni del massimo splendore: ogni commento è superfluo. Quell'edificio che un tempo fu magnifico oggi è un cumulo di pietre che aspetta solo il crollo definitivo. La stazione era avveniristica, dotata tra l'altro di un binario che veniva sollevato e ruotato per rimettere la locomotiva nel giusto senso di marcia. Poi la stazione Bayard venne superata dalla nascente stazione centrale e fu retrocessa a fermata di servizio, nel corso della Seconda Guerra venne coinvolta dall'esplosione di una nave nel porto di Napoli che arrecò molti danni in città, gli unici ancora visibili sono quelli impressi nei ruderi del capolinea della prima linea ferroviaria d'Italia che oggi viene festeggiata con giusta enfasi.

Un passaggio rapido davanti alla stazione abbandonata è d'obbligo prima d'infilarsi nel percorso moderno di treni che collegano Napoli e Portici, serve a ricordare il passato e a guardare meglio il presente.

Nel 1839 il viaggio inaugurale (che avvenne sul percorso inverso, con partenza da Portici) durò appena nove minuti e mezzo perché al tempo non c'erano fermate intermedie. Oggi si impiegano quattro minuti in più, però ci sono tre fermate tra la partenza e l'arrivo.

Il viaggio inizia da piazza Garibaldi, come fanno quasi tutti i viaggiatori e la totalità dei turisti che s'infilano nel ventre della stazione centrale per raggiungere la linea che collega Napoli e Salerno, quella che passa per Portici. Caldo, coda alla biglietteria ma personale gentile: «Ecco il biglietto, faccia una corsa che il treno sta per partire».

Ci sono tanti turisti, il convoglio non sembra di ultima generazione e non pare confortevole ma i viaggiatori abituali già sanno a cosa andranno incontro, un po' più spauriti i turisti: due americani chiedono mille volte se il treno è quello giusto, prima di salire a bordo. C'è un pochino di ritardo ma è nella norma.

Il viaggio è breve, eppure non riesce ad essere rilassante. Tutt'intorno, i luoghi che appartennero all'industria hanno lasciato molti ruderi e poca vita, man mano che ci si allontana dalla città si manifestano brandelli di periferia degradata.

Poco da ammirare e macchine fotografiche rinfoderate per i turisti. Una ragazzina con migliaia di treccine che le scuoiano la testa parla a voce alta in dialetto. Tanto turpiloquio, tantissimi amò, è terribilmente fastidiosa, urla in modo sguaiato, poi fortunatamente arriva una zona difficile per la linea telefonica t'aggia lascià, ti devo lasciare ché non sento più niente. Chiude la telefonata, un gruppo di australiani sospira di sollievo: ridono di gusto, sono felici che il tormento sia finito.

Un pizzico d'emozione arriva quando si attraversa Pietrarsa. Quello è l'unico luogo dove la storia di questa ferrovia è ancora palpabile, presente, grazie a un recupero che ha cancellato la prima devastazione che seguì l'unità d'Italia e la seconda dopo la chiusura definitiva degli anni'70.

Una donna francese legge una guida turistica e racconta sottovoce la storia al marito prima che il treno attraversi quel luogo. Qui nel 1844, per volere del re Borbone, partì la produzione di locomotive che avrebbero dovuto essere utilizzate sulla prevista ferrovia del Sud Italia. Lo stabilimento diventò un punto di riferimento per l'Europa fino all'Unità d'Italia.

Il governo sabaudo giudicò inutile Pietrarsa, arrivò a prevederne la demolizione o la vendita, poi si arrivò all'ipotesi di cessione in fitto. Nel 1863 il nuovo affittuario, la ditta Iacopo Bozza, decise per il licenziamento in massa degli operai, ci furono tensioni e scontri: ad agosto di quell'anno una carica dei bersaglieri contro gli operai causò 7 morti e 20 feriti.

Poi la vita di Pietrarsa riprese fino al 1975 quando chiuse definitivamente. Ne seguì il consueto abbandono per una quindicina d'anni fino all'idea del museo che venne inaugurato una prima volta nel 1989 (per il 150esimo anniversario della ferrovia), chiuso in fretta e riaperto definitivamente con l'affascinante struttura attuale, nel 2007.


A Portici-Ercolano scende una fila di persone, parlano dell'arrivo del presidente, si confrontano sui trasporti. Dicono cose terribili della Circum, sono poco più benevoli con i collegamenti delle Ferrovie: «Voi siete giornalista? E allora scrivete che arrivare a Portici è un tormento di ritardi, guasti e treni vecchi, altro che prima ferrovia d'Italia, questa è l'ultima. Però scrivetelo, fateci questo piacere». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino