Nell'ultimo slalom a Palazzo San Giacomo assisteremo, a breve, ad una nuova sostituzione di assessori, dicono le cronache dai quattro ai sette. Poco contano i nomi, se non...
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Il giochino dei nomi, davvero, appassiona poco. Chi al posto di chi è roba da organigramma interno e staff, potere comunale e sottobosco affine, filiera dell'amicizia e della metodica municipal-burocratica difficile da estirpare. E tutto questo appare purtroppo, e ancora, destinato ad essere fine a se stesso.
La maggioranza di de Magistris al Comune di Napoli è diventata davvero una giungla: ondivaga, a tratti isterica, vendicativa, chi è più disincantato non esita a parlare di profilo politico ricattatorio. Come a dire, «senza uno strapuntino per me, anche per me, io ti mollo». E dicono qualcosa, in tal senso, le cifre impietose di un consiglio comunale che quest'anno si è riunito soltanto 17 volte (l'ultima l'8 agosto) e solo quando è stato indispensabile (come per il Bilancio), anche perché in Aula si va (soprattutto) presentando atti. E in tal senso non è che l'esecutivo di palazzo San Giacomo abbia macinato chilometri. Tutt'altro.
De Magistris, che i calcoli (anche se in maniera spericolata) li sa fare, è consapevole di non poter mollare proprio ora, sul più “bello” della sua parabola da sindaco, stretto tra l’esigenza annunciata di salvare il popolo curdo e di attrezzare una flotta per salvare i poveri migranti. Epperò al nuovo rimpasto, che si annuncia bello sostanzioso con “quattro-fino-a-sette” pedine da sostituire, non s’accompagna, come si dovrebbe e come è lecito attendersi, uno straccio di (rinnovata) strategia di governo della città di Napoli.
Hai voglia a dire, come in una cantilena, che qui è in atto una rivoluzione, che questa è innanzitutto la città dell’amore. Tutta roba (in parte persino dai tratti verosimili) per gente suggestionabile, dal cuore largo. Ma la realtà della Napoli di ogni giorno, al di là del fascino che continua ad attrarre irresistibilmente (per pochi giorni) sempre più turisti, rimane problematica e disordinata, sciatta e violenta, svilita e mortificata, rimane sotto gli occhi di tutti. Carne viva. La città che de Magistris “governa” avrebbe bisogno di una squadra compatta (e qui già andiamo sul complesso) che si unisca intorno ad un progetto (concetto poco praticato), con un capitano sempre in plancia a pretendere il massimo da ciascuno. Senza se e senza ma, liberandosi dal gioco di pesi e contrappesi che finora ne ha solo limitato l’azione, piegandolo oltremodo - oltre le sue personali capacità di sindaco, cioè - al gioco dei veti incrociati delle grandi ripicche e delle vendette annunciate. Tutto questo sulla pelle di Napoli, la città che perde terreno e che non sprofonda solo grazie (e meno male) a splendide individualità personali e collettive, a realtà storiche e spunti innovativi in cui valori e cifre professionali emergono autopropulsive e ostinate, al di là di un sistema profondamente ostile e respingente.
È in questa città, allora, qui ed ora, che - più che di quattro o sette nomi nuovi - c’è bisogno di parole chiare, impegni seri, solenni, di cui render conto poi. Che intenzioni ha, il sindaco, per gli ultimi (quasi) due anni di mandato? Come intende governare (meglio) Napoli, quali sono i campi emergenziali da arare (e terreno ce n’è tantissimo) per migliorare la vivibilità di una città che ha il diritto a vivere meglio di come sopravvive? E i processi vanno studiati e governati dall’inizio alla fine, non soltanto annunciati. Altrimenti si perpetua l’abile (ma scontato) esercizio di stabilizzazione personale dentro l’Istituzione. Insomma: questo può - persino, essere il tempo dell’ennesimo slalom in giunta, per de Magistris. Ma continua inequivocabilmente ad essere, ancora e non da ora, il tempo delle risposte da dare. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino