«Madonna mia che paura... quando sono arrivati i killer in moto il vicolo era pieno di creature, di bambini che come tutte le sere giocavano e si rincorrevano»:...
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Silenzio. Silenzio. In vico Fontanelle si sussurra, si mormora. Il silenzio è surreale. Poi arriva una moto a tutto gas, sgomma veloce, fa lo slalom tra le auto delle forze dell’ordine e si ferma quasi contro il blocco. In due si slanciano dal sellino e corrono verso la serranda semi abbassata del circoletto. «Sempre a noi, sempre a noi...perché tocca sempre a noi?» piange un omone con il viso stravolto. Un ragazzo con la T shirt bianca e il numero 49 disegnato sopra si scaglia contro la serranda e comincia furiosamente a picchiare e a urlare il nome del morto: «Salvatore, Salvatore, frat mio, che ti hanno fatto». Da lontano fa eco il lamento di una donna: «Hanno ucciso un quartiere, hanno ucciso un quartiere», urla. E poi arriva un’altra voce: «Se ci stanno altre botte, se li sparano a quegli infami fanno bene, fanno bene». Più cresce il numero dei parenti, più sale la tensione: c’è chi cerca di entrare nel circolo per abbracciare il corpo, chi piange tenendosi ai margini. E intorno il silenzio: le serrande abbassate, qualcuno osa sbirciare dalle serrande, impaurita dallo sfregio subito da quelli che sempre avevano comandato «nelle Fontanelle», come la gente della Sanità chiama il regno dei Vastarella. Ed essere arrivati fin qui, con due o più moto è una dimostrazione di forza difficile da dimenticare. Chi sono? Da dove vengono? Se lo domandano in tanti. Tanti giurano che da sere nelle strade del quartiere sono sfilate moto «in paranza» dalle Fontanelle fino ai Vergini seminando terrore e facendosi beffa delle camionette dell’esercito ferme davanti alla chiesa della Sanità, a pochi metri dall’albero di Genny, quello piantato dopo la morte del ragazzo. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino