«Se abbatteranno la casa in cui abito da bambino, non avrò più ragione di vivere». Ciro Monti (in foto con la sua famiglia), 39 anni, è...
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«Non riesce a vivere in ambienti che siano diversi dalla sua casa. Se lo portiamo in luoghi pubblici? Si innervosisce e sta male, perché ormai la sua vita si svolge nella casa in cui abita dalla nascita, dove ha tutte le sue abitudini». Mentre papà Rocco spiega l’intricata vicenda che riguarda il figlio, il povero Ciro si dimena e si dispera in carrozzella. Anche se non parla, il giovane riesce a comunicare il suo malessere interiore a gesti e con gli occhi pieni di lacrime. A preoccuparlo è la decisione dei giudici della Procura partenopea di demolire i vani in cui Ciro vive da 39 anni: cucina, camera da letto e bagno. Vani che suo padre gli ha costruito con le sue mani, mattone su mattone, tanti anni fa e che oggi la legge ha deciso che non sono in regola, perché abusivi. «Qui mio figlio svolge tutte le sue attività - spiega il padre - trascorre la sua giornata spostandosi in carrozzella tra queste stanze e all’aperto, in terrazza, insieme ai suoi otto cani e sette gatti, mentre mi guarda coltivare la terra, come ha sempre fatto sin da quando era bambino». Ora però un fulmine a ciel sereno si è abbattuto sul giovane disabile e la sua famiglia: la demolizione di quei manufatti, stabilita dal sostituto procuratore Raffaele Marino e già prevista per lo scorso 8 ottobre a opera del servizio preposto del Comune, in base a quanto prescritto da una sentenza di condanna emessa il 6 marzo 2001 dalla II sezione penale della Corte di Appello di Napoli. Una decisione che è stata purtroppo solo rinviata, a causa del precario stato psicofisico di Ciro.
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«In sintesi - come chiarisce il legale di Ciro, Vincenzo Arino - la Procura ha messo in esecuzione una sentenza passata in giudicato risalente al 1987». Ma fatto più assurdo è, come spiega papà Rocco, «che all’epoca della costruzione abbiamo effettuato tutte le formalità di accatastamento, che però non è mai avvenuto». «Adesso dopo 32 anni la legge si sveglia e vuole demolire gli unici spazi in cui mio figlio riesce a muoversi e ad avere una vita per così dire normale?», incalza. Ciro ora teme il peggio ed esprime la sua sofferenza con le lacrime agli occhi, mentre guarda intristito il terreno di famiglia: «Che vivo a fare se mi abbattono la casa? Voglio rimanere dove sono nato, con la mia famiglia e i miei cani Chicca, Bianca, Bella e gli altri». Intanto la famiglia, tramite il loro legale, ha già predisposto un ricorso che invierà alla Corte europea dei diritti dell’uomo: «Ci rivolgeremo alla Corte di Strasburgo - annuncia Arino - per salvaguardare i diritti di Ciro».
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Il Mattino