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Era il salotto di Napoli, oggi è una latrina, uno squarcio nero della notte di Napoli. Quando perde pezzi può essere perfino assassina. La Galleria Umberto I sorse dopo il colera del 1884, il nono in mezzo secolo. Il capo del governo Agostino Depretis venne a Napoli e si stupì per il livello di degrado e di povertà. Matilde Serao, futura madre del Mattino, lo affrontò di petto: «Non potevate non sapere».
Da noi le disgrazie procurano sempre ottimi affari. Fu avviato un piano detto Risanamento. I quartieri poveri vennero sventrati, i costruttori e i corrotti gongolarono, il quadro sociale non cambiò. Nelle intenzioni, lo sventramento delle viuzze doveva sancire la forza della Napoli sabauda. In realtà fu un'operazione ipocrita, un sipario di pietra davanti alle crudeli ingiustizie che i miseri continuavano a subire. Se concentravi lo sguardo sulla Galleria, vedevi una città che per dolce vita rivaleggiava con Parigi e con Londra. Ma bastava fare pochi metri e attraversare via Toledo per trovarsi fra i senzatutto dei Quartieri Spagnoli.
Non tutti si lasciarono stordire dalle nuove luci. Matilde Serao, dal giornale romano creato con Scarfoglio, si rivolse a Depretis: «Sventrare Napoli? Credete che basterà? Vi lusingate che basteranno tre, quattro strade, attraverso i quartieri popolari, per salvarli? Vedrete, vedrete, quando gli studi, per questa santa opera di redenzione, saranno compiuti, quale verità fulgidissima risulterà: bisogna rifare». Come luogo della nuova meraviglia venne prescelta una zona molto popolata fin dal Cinquecento, fatta di vie parellele dirette al Maschio Angioino, raccordate da una serie di vicoletti. L'area era evitata dalla gente dabbene, giacché costellata di fosche taverne (famigerata quella della Caglientesa), postriboli, bische. Il degrado si moltiplicò quando crebbero gli edifici, fino a sei piani, e l'igiene peggiorò. Il Risanamento cambiò la scena. Arrivarono i signori.
I lavori vennero avviati nel 1887. Quattro braccia intrecciate in una crociera ottagonale coperta da una cupola vetrata. Ingresso principale di fronte al Teatro San Carlo, altri su via Santa Brigida, Toledo e via Verdi. L'alta copertura in ferro e vetro, disegnata da Paolo Boubée, si vedeva in mezza Napoli. Sul tamburo della cupola comparve la Stella di Davide.
Vico Rotto San Carlo - ossia l'Angiporto Galleria ossia piazzetta Matilde Serao - fu la Fleet Street partenopea, la via dei giornali e insieme la Broadway vesuviana. Qui ebbe la prima sede il Mattino fondato nel 1892 da Edoardo Scarfoglio e da donna Matilde. Redazione e uffici al primo piano, rotativa nei sotterranei. Lo slargo ospitò poi anche Il Giorno, nato quando la Serao si separò da Scarfoglio. In un'Italia senza quote rosa, ne fu direttrice unica. Arrivò pure la redazione locale dell'Unità di Napoli, l'organo ufficiale del Partito comunista. Vi ebbe sede, con balconcini affacciati sulla Galleria, il Mezzogiorno Sportivo creato dal giornalista Felice Scandone. Questo giornale realizzò la prima radiocronaca di una partita del Napoli. Era il 23 giugno 1929. Solo pochi mesi prima l'Eiar aveva irradiato Italia-Ungheria. La partita Napoli-Lazio si giocava a Milano sul neutro di San Siro, inaugurato da due anni. Era uno spareggio per accedere alla Divisione Nazionale, nome antico della serie A. Fu deciso di mandare un inviato, che arrivò, diede le prime notizie e lanciò un'idea: «Perché non facciamo una cronaca dalla sede? Io vi darei informazioni ogni tanto». Arrivò il sì.
La voce si diffuse. In Galleria arrivò una folla di tifosi. L'inviato diede una brutta novella, per i laziali aveva segnato Spivach. L'ingegnere Michele Buonanno stenografò e informò Scandone che infiocchettò quei pochi dati e dal balconcino, con un megafono, li passò alla gente. I figli di Buonanno e Scandone sono stati cronisti del Mattino. Per il Napoli pareggiò Sallustro e raddoppio Innocenti II. Euforia. Senonché Cevenini V fissò il punteggio sul due a due. Allora non c'erano supplementari e rigori. La gara andava ripetuta. Ma il lunedì le squadre in lizza furono passate da 16 a 18, ed entrtambe le squadre furono promosse. Eleganza, musica, sport, quest'era la Galleria. Oggi solo pochi artisti veterani nostalgici la frequentano, e tempo e incuria fanno guasti sempre più gravi.
Nell'angiporto Galleria, resiste il bel Museo del Corallo allestito dall'azienda Ascione di Torre del Greco, che lavora sin dal 1855 e ha raggiunto livelli di gusto altissimo. Giancarlo Ascione, uno dei fratelli, capeggia la resistenza al degrado della Galleria Umberto I. Una leggenda metropolitana, ricalcata sulla favola della Fontana di Trevi a Roma, sostiene che se un visitatore forestiero vuole ritornare a Napoli deve fare tre volte il giro attorno al mosaico del suo segno zodiacale sul pavimento della Galleria. Ma se resta così non ne vale la pena. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino