Napoli, Pasquale è l'ultimo «numeraio» nei vicoli del Buvero

Napoli, Pasquale è l'ultimo «numeraio» nei vicoli del Buvero
Pasquale De Stefano è l'ultimo «numeraio» di Napoli. Il «numeraio» o «numeraro» è un mestiere antico: si tratta dell'arte...

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Pasquale De Stefano è l'ultimo «numeraio» di Napoli. Il «numeraio» o «numeraro» è un mestiere antico: si tratta dell'arte del comporre i cartelli coloratissimi che da sempre affollano i banchi dei mercati di Napoli: Pignasecca, Antignano, Porta Nolana, Poggioreale. Che sia pesce, frutta, vestiti, utensili i cartelli del «numeraio» sono un elemento indispensabile per indicare il prezzo e il nome della mercanzia.


La bottega di Pasquale si trova dietro al teatro San Ferdinando, in un vicolo stretto alle spalle del «buvero», il borgo di Sant'Antonio Abate: una zona in parte ancora autentica, di raccordo, tra Porta Capuana a Piazza Carlo III, dove i nuovi insediamenti di extracomunitari non hanno cancellato tradizioni popolari radicatissime, creando un colorato cocktail. È tra le più antiche del centro antico e conserva la sua struttura inalterata dal XV secolo.


«Sono nato qua nel 1948. Ci vivevamo io, mio padre, mia madre e i miei fratelli. Mio padre faceva questo lavoro, e così suo padre. Ho imparato osservando lui. A Napoli di numerai ce n'erano due o tre. Quando papà s'impiegò, ha lasciato il mestiere a noi figli. Dopo la morte dei miei fratelli, io resto l'ultimo», racconta Pasquale che non vuole però rivelare quanto costi un cartello, quanti ne possa vendere ancora, che produzione avesse, invece, un tempo.


Mentre ricalca con tratto sicuro da maestro una lettera col colore scelto un rosso vermiglio, tendente al fluo - il «numeraio» spiega che i cartelli sono nati a scopo quasi «educativo», molto tempo fa: «La gente prima non andava a scuola e non sapeva leggere e scrivere. Capitava che qualcuno aprisse un'attività - un fruttivendolo, una macelleria e non sapesse scrivere i prezzi: allora ci pensavamo noi».


Prima per fare i cartelli si usava il cartone; ora legno e compensato con pittura lavabile: si fa tutto a mano libera. Pasquale va in segheria a prendere i pannelli, se li fa tagliare della forma che preferisce e poi provvede lui stesso a dipingerli e inchiodarli. I cartelli servono a fruttivendoli, macellai, pescherie ma di recente, da quando Napoli è diventata una sorta di brand esportabile nel resto del mondo, l'inconfondibile lettering hand made di Pasquale è richiestissimo da famosi pizzaioli (Sorbillo), ristoranti, persino stilisti (Dolce e Gabbana).


Pasquale racconta di come anche il «buvero, che per la sua conformazione sembra un fortino inespugnabile dalla «modernità», sia comunque cambiato. C'erano tante botteghe: il ciabattino che riparava le scarpe sul posto con lo «scannetto»; si vendevano carne, galline, uova nostrane. «Era fatto tutto a mano. C'era un altro modo di vivere e di commerciare. Oggi i ciabattini non ci sono più. Chi si fa aggiustare le scarpe? Fai prima a buttarle e comprartene un paio nuovo. Napoli si manteneva su calzolai, ombrellai, guantai. Con la venuta dei cinesi è finito tutto».


Pasquale il «numeraio» ricalca i suoi cartelli con una calma serafica e ammette che non cambierebbe il suo lavoro con nessun altro. È un'attività molto rilassante ma mai sedentaria: quando non è in bottega, va in giro per mercati a procacciarsi lavoro: «Ciao Gianni, come stai, che ti serve?, poi torno qui e faccio le scritte. Ma devi conoscere chi sta dietro le bancarelle, altrimenti i cartelli non se li fanno fare».


Tre figli, nessuno di loro che abbia intrapreso l'attività paterna, il signor De Stefano è convinto di essere l'ultimo della sua specie per un motivo preciso: «Nessuno entra dalla porta e dice: Buongiorno, voglio imparare!. Questi sono mestieri che non interessano ai ragazzi. Si guadagna poco e ci vuole molto tempo. Imparare non è facile: non basta prendere il pennello in mano, ci vuole un po' di arte e tanta pazienza. Questi ragazzi invece corrono come dei matti». Non sa, Pasquale, e forse nemmeno lo vuol sapere, che ormai si compra tutto via Amazon e che in rete gli unici prezzi che contano sono quelli digitali. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino