Napoli, vittime del racket disertano il processo: niente denunce ai boss

Contro il clan Vigilia si costituiscono parte civile Comune e presidenza del Consiglio

Giustizia, tensione durante il processo
Mancavano solo loro. I cinque cittadini indicati come vittime, come presunte parti offese, nel corso di un processo per fatti di usura e racket, all’ombra della camorra di...

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Mancavano solo loro. I cinque cittadini indicati come vittime, come presunte parti offese, nel corso di un processo per fatti di usura e racket, all’ombra della camorra di Napoli ovest. Ieri mattina erano assenti, «gli innocenti», quelli costretti a versare soldi a titolo estorsivo o a restituire prestititi a tassi usurari, finanche soggetti minacciati in un’ottica di radicamento criminale. Giudice per le udienze preliminari, prima udienza, una ventina di imputati.

Per la Procura di Napoli sono i vertici del clan Vigilia, radicato tra Soccavo e una parte di Fuorigrotta, per anni a capo delle piazze di spaccio di rione Traiano. Siamo alle battute iniziali del processo, quando gli avvocati provano a definire la propria strategia difensiva (tra richieste di abbreviato e di rito ordinario), spiccano le richieste di costituzione di parte civile. Ma fa rumore anche il silenzio degli innocenti, l’assenza in aula dei cittadini che sono stati indicati dalla Dda come presunte vittime di pressing estorsivo ed usurario. In sintesi, sia il Comune di Napoli che la Presidenza del Consiglio - tramite i loro legali - formalizzano la richiesta di costituzione di parte civile; stessa mossa da parte di Sos Impresa, grazie al lavoro del penalista Alessandro Motta. 

Mancano le vittime, però, in una vicenda investigativa che punta a fare luce sul ruolo di alcuni presunti boss operativi fino a qualche anno fa nella zona della periferia occidentale.

Ma andiamo a leggere le carte depositate dalla Dda di Napoli. Sotto accusa, il presunto boss Pasquale Vigilia e il suo presunto seguito di appartenenza: avrebbero taglieggiato un commerciante che gestiva un negozio in via Epomeo, arrivando a pretendere - scrivono i pm - fino a 15mila euro di estorsioni da versare in più tranche. Stesse accuse nei confronti di altri presunti esponenti del gruppo, che avrebbero stretto tra le mani le redini dei prestiti a strozzo. Soldi cash e interessi capestro. 

Due cittadini sono caduti nella morsa - insistono gli inquirenti - ma hanno rinunciato a presentarsi in aula, per rivendicare il proprio status di parte offesa. Inchiesta condotta dal pm Stefania Di Dona, si torna in aula i primi di giugno, si attendono richieste di condanne per chi ha scelto di essere giudicato con il rito abbreviato.

Un caso che basta da solo per mettere a fuoco il clima di omertà (e di paura) radicato a Napoli ovest. Un quartiere segnato da recenti episodi di sangue, come il raid tra i bimbi di un parco giochi, culminato nel ferimento di una madre che accudiva la figlia accanto a una giostra. E sempre a proposito dell’area ovest, è di ieri la sentenza di primo grado nei confronti del clan Sorianiello. Inchiesta, quest’ultima, condotta dal pm Salvatore Prisco e Maria Sepe, ieri sono arrivate condanne durissime nei confronti di Alfredo e Simone Sorianiello (rispettivamente padre e figlio, condannati a 20 anni), ma anche nei confronti del loro presunto affiliato Giuseppe Mazzaccaro. Un verdetto che sancisce per la prima volta l’esistenza di un’organizzazione camorristica chiamata clan Soraniello. Sentenza emessa nell’aula bunker del carcere Poggioreale di Napoli dove il gup Gabriella Logozzo: 26 imputati, un totale di 370 anni di carcere, al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato. 

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Il Mattino