Operaio morto nel cantiere della metropolitana di Napoli: chiusa l'inchiesta, sei indagati

Operaio morto nel cantiere della metropolitana di Napoli: chiusa l'inchiesta, sei indagati
Mancavano l'illuminazione e i parapetti di sicurezza, nonostante il cantiere fosse buio e pieno di buche profonde. E gli operai non erano dotati di torce, che pure erano...

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Mancavano l'illuminazione e i parapetti di sicurezza, nonostante il cantiere fosse buio e pieno di buche profonde. E gli operai non erano dotati di torce, che pure erano previste. Così avrebbe perso la vita Luigi Manfuso, 59enne di Gragnano, l'operaio morto l'8 settembre dello scorso anno nel cantiere di via Aulisio per la realizzazione fermata «Tribunale» del prolungamento della linea 1 della metropolitana di Napoli.

Una tragedia sul lavoro per la quale la Procura di Napoli (procuratore Rosa Volpe, sostituto Giuliana Giuliano) ha chiuso le indagini. Sei indagati rischiano il processo per omicidio colposo e inosservanza delle norme di sicurezza sul cantiere dove Luigi Manfuso stava lavorando. Adesso i sei indagati avranno venti giorni di tempo per depositare memorie difensive e chiedere l'interrogatorio per dimostrare la propria estraneità ai fatti. Si tratta di Roberto Cocchi, responsabile dei lavori; Giancarlo Acchiappati, capocommessa subdelegato dalla ICM (azienda che sta realizzando le opere) e datore di lavoro dell'operaio; Laura Racalbuto, coordinatrice per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori in quel cantiere; Giorgio Marcellino e Michele Mario Mantarro, coordinatori per la sicurezza in fase di progettazione; e Mario Nino Cirigliano, preposto alla sicurezza per la ditta appaltatrice dei lavori di prolungamento della linea 1. 

«Negligenza, imprudenza, imperizia e colpa specifica nell'inosservanza della normativa in materia di prevenzione infortuni sul lavoro» è ciò che contesta a vario titolo la Procura nei confronti dei sei indagati. Quel che è emerso nel corso di un anno di indagini è che, nonostante la portata e la grandezza delle opere, Luigi Manfuso e i suoi colleghi lavorassero in un cantiere dove non erano state previste una serie di misure di sicurezza, in particolare per il rischio di caduta dall'alto e nel vuoto.

Carpentiere e operaio edile assegnato alla banchina della stazione per i lavori di intonaco nell'ambito della fase dei «grandi lavori e opere speciali in cemento armato», poco prima della pausa pranzo del 7 settembre Luigi Manfuso si era allontanato dalla sua postazione senza casco protettivo per posare gli attrezzi. Nonostante quanto fosse previsto dal Piano di Sicurezza, il 59enne non era dotato di torcia. Nel percorso dalla sua postazione verso la zona dove posare gli attrezzi, Luigi Manfuso era precipitato da un'altezza di circa tre metri all'interno di una vasca di recupero delle acque «non delimitata in modo adeguato» secondo gli inquirenti, nonostante si trovasse «in un cunicolo sotterraneo di areazione non illuminato». 

Nella tremenda caduta, il 59enne aveva riportato un trauma cranico molto serio e diversi traumi al torace e agli organi interni. Nonostante due delicati interventi chirurgici, l'operaio di Gragnano era morto in ospedale il giorno dopo, lasciando la moglie e i due figli, che chiederanno di costituirsi parte civile nell'eventuale processo. L'inchiesta ha fatto emergere una serie di carenze nel cantiere. In particolare, secondo gli inquirenti mancavano «parapetto e tavole fermapiede» intorno alla fossa nella quale è precipitato l'operaio, e ancora gli altri parapetti dove si trovavano le altre buche e dove dovevano essere realizzati i binari, sostituiti con semplici reti in pvc. Carenze che avrebbero reso «non sicuro» il passeggio e il lavoro degli operai. Il tutto in un ambiente non illuminato, dove i lavoratori non erano stati dotati di torce.

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Il Mattino