Napoli diventò subito metropoli. E lo è rimasta, in modo clamoroso, a partire dall’età vicereale, quando i regnicoli, per sfuggire alle vessazioni e ai balzelli dei baroni,...
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Napoli divenne la città dei frati e dei lazzari, bollati dagli illuministi come presenze parassitarie che vivevano in simbiosi, oltre che città di nobili e mercanti. Napoli è sempre stata affamata e andava sfamata. Innalzava palazzi scavando, alla bisogna, nel tufo del ventre molle e, sempre alla bisogna, riempiva i crateri di derrate alimentari, creando depositi che servivano a nutrire il popolo ed arricchire gli speculatori.
Una delle aree principali deputate all’accumulo e alla conservazione di beni alimentari era a ridosso dell’attuale piazza Dante, un tempo largo Mercatello, mercato piccolo, ma pur sempre mercato. Dove, dalla seconda metà dell’Ottocento, sorge la Galleria Principe di Napoli, la Galleria Puverella, si aprivano le Fosse del Grano, mentre all’imbocco di via Toledo erano state scavate le Cisterne dell’Olio, conservate nel toponimo. Da tempo, i consumi sono cambiati. A piazza Dante, chiude una libreria e la sostituisce un kebabaro. Al Cavone e a via Carlo Doria vanno alla grande i take away cingalesi, non solo tra gli asiatici, ma pure tra gli indigeni con lo stomaco a prova di spezie. Tutt’attorno pizzerie e rosticcerie storiche e, lungo via Bellini e a piazza Bellini, caffè letterari e locali dove di sera si mangia e si ascolta il jazz: una boccata napoletanizzata di Quartiere Latino che approfitta dell’estrosità della vicina Accademia di Belle Arti.
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