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Il Rettifilo è una spada che ha tagliato un paio di antichi quartieri napoletani. L’ha voluto il Risanamento, ma a guardarlo da piazza Garibaldi, dritto e traballante, non risana nulla, semmai resta una ferita che a tratti è andata in necrosi, non si cicatrizza.
Voleva essere un boulevard alla maniera di Haussmann che sventrò Parigi, ma è riuscito solo a cambiare il volto, ma non le viscere di una metropoli per sua natura multietnica e contagiosa.
È più quello che il Rettifilo (per la toponomastica corso Umberto I) nasconde che quello che svela. Bassi e altro, barocco e gotico, fondaci e attici, medioevo e postmoderno, camorra stracciona e aristocrazia degli studi. Tutto cambia e tutto si conserva.
Così nel dedalo di strade, vicoli e slarghi improvvisi e improvvisati che dalla Duchesca arrivano ai margini di via Duomo, costeggiano la strada prima invocata e poi detestata da Matilde Serao, si scopre che il sacro è assediato da vite pezzotte, che la marginalità è centrale.
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Il Mattino