Pompei, quando Cavour lasciava i suoi graffiti

Pompei, quando Cavour lasciava i suoi graffiti
Prima di «rendere l'anima a Dio», nel maggio del 1861, Camillo Benso di Cavour fece in tempo a visitare gli scavi di Pompei nelle vesti di presidente del Consiglio...

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Prima di «rendere l'anima a Dio», nel maggio del 1861, Camillo Benso di Cavour fece in tempo a visitare gli scavi di Pompei nelle vesti di presidente del Consiglio del neonato regno d'Italia. E fece anche in tempo a «graffiare» la sua firma nella stanza 59, vano situato all'estremità Nord del porticato inferiore della villa di Diomede: «Comte de Cavour piemont sard», scrisse lasciando così traccia del proprio passaggio nella città perduta e ritrovata. Lo hanno (ri)scoperto gli studiosi del team internazionale e multidisciplinare coordinato da Helene Dessales, archeologa e docente all'Ecole Normale Supérieure, responsabile del progetto sulla Villa di Diomede, che da quasi un decennio stanno analizzando nei minimi particolari il grandioso complesso residenziale.


Tutti elementi che da ieri fanno parte del libro The Villa of Diomedes: The making of a Roman villa in Pompeii ovvero «La Villa di Diomede: la fabbrica di una villa romana a Pompei» (600 pagine, per trenta capitoli e altrettanti contributori) che è stato presentato appunto negli spazi della villa dal direttore del parco archeologico Gabriel Zuchtriegel e dal direttore generale dei musei Mibac, Massimo Osanna.


Ma quella del graffito di Cavour non è stata l'unica sorpresa che lo studio e il restauro del complesso, attualmente in fase già avanzata e visibile dai turisti che ne facessero richiesta, hanno fatto emergere. Oltre ai numerosi ritrovamenti di monete, compreso quello di un soldino, con effigiato il volto di Tiberio, rinvenuto tra le pietre della muratura a protezione delle casa dagli spiriti maligni, il dato più interessante è stato evidenziato dalle analisi geostrumentali che hanno rivelato una serie di ambienti sottostanti il fabbricato superiore dei quali nessuno sapeva l'esistenza.


«Con questo studio abbiamo cercato di capire come siano andati avanti tanto la costruzione della fabbrica quanto i cantieri che hanno interessato la villa a partire dal secondo secolo avanti Cristo al 79 dopo Cristo», spiega Dessales: il complesso era stato semidistrutto dal terremoto del 63 dC ed era in fase di ripristino al momento dell'eruzione del Vesuvio. Sotto i riflettori degli studiosi tutte le scritte ed i graffiti lasciati da visitatori poco civili, Cavour compreso: al suo tempo la villa era al centro del Grand Tour, tanto da essere raffigurato nelle stampe del Piranesi o descritto nel romanzo ottocentesco di Théophile Gautier Arria Marcella, ricordo di Pompei. Portata alla luce in quasi cinque anni, dal 1771 al 1775, la villa di Diomede rivelò sin dall'inizio la sua grandiosità e la sua importanza per lo studio della catastrofe. «Vi si sono trovati 18 scheletri di persone adulte, oltre quelli di un ragazzo e di un piccirillo. Si conosce bene che questi, e forse altri che si potranno ancora trovare continuandosi questo scavo, furono sorpresi in quel sito della casa, come il più lontano da soffrire qualunque insulto, ma che non poté riguardarli da una pioggia di cenere» scriveva Pietro De La Vega responsabile dello scavo. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino