Negli Scavi di Pompei c’è il divieto di zaino ma nessuno controlla ai varchi

Negli Scavi di Pompei c’è il divieto di zaino ma nessuno controlla ai varchi
Pompei. A difesa del sito archeologico un nuovo dispositivo di sicurezza: il deposito bagagli hi-tech. Telecamere e riconoscimento vocale del proprietario della borsa per...

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Pompei. A difesa del sito archeologico un nuovo dispositivo di sicurezza: il deposito bagagli hi-tech. Telecamere e riconoscimento vocale del proprietario della borsa per identificare chi ha lasciato in custodia pacchi sospetti. Il nuovo dispositivo blinda gli scavi da ogni pericolo di zaino-bomba. O meglio, dovrebbe: perché il 95 per cento dei turisti che ogni giorno affollano il sito archeologico ignora il tassativo «divieto di introdurre borse e tracolle all’interno del monumento» e attraversa tranquillamente i varchi con i bagagli al seguito.

Le 200 caselle elettroniche sono state realizzate fuori le mura della città archeologica, poco prima della biglietteria di Porta Marina Superiore, con tanto di normativa in lingua italiana e inglese: «Al fine di evitare danni alle pitture o alle strutture archeologiche, non è consentito introdurre all’interno degli scavi di Pompei borse, zaini, bagagli e custodie». Qualche turista si limita a leggere le istruzioni; altri, invece, bivaccano ai margini del deposito bagagli di ultima generazione lasciando sulla struttura elettronica, addirittura, cartoni di pizza. Eppure nella «black list» del Viminale gli scavi archeologici di Pompei sono al primo posto tra gli obiettivi sensibili a rischi attentati terroristici. 

I custodi non intervengono per far rispettare il divieto, intimando ai turisti di lasciare fuori borse e zaini, perché hanno paura di reazioni violente. «Non è nostra intenzione rischiare di essere picchiati da turisti inferociti e indisciplinati - spiegano gli addetti alla vigilanza - come è accaduto pochi giorni. Per aver impedito l’ingresso da un varco che invece funge da uscita, un collega è stato aggredito e picchiato da un turista australiano. Non ne vale la pena, considerando che noi lavoriamo per tre e ci pagano per uno».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino