Premi ai camici bianchi per l'emergenza Covid: è una riunione al buio quella convocata per domani, a Palazzo Santa Lucia, dalla direzione Salute della Regione. Nessuno...
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Medici e infermieri, angeli ed eroi, impegnati duramente nei mesi del lockdown, rischiano ora di andare in ferie senza bonus pandemia in busta paga. La prima norma ad aver previsto i premi è stato, il 17 marzo scorso, il decreto 18. Il bandolo della matassa è all'articolo 1 dove è previsto, per il 2020, «un incremento delle risorse per la remunerazione del lavoro straordinario a favore del personale dipendente direttamente impiegato nelle attività di contrasto all'emergenza Covid». Il bonus attinge ai fondi contrattuali della dirigenza medica e sanitaria e del comparto incrementata di 250 milioni (23 per la Campania). Fondi indistinti e con vincoli contrattuali. Qui si colloca il primo nodo, irrisolto, dei criteri. Quanto va ai medici (per i quali la tassazione è maggiore) e quanto al comparto? Inoltre si parla di lavoro straordinario: altro da un premio. Poi la norma dice che bisogna essere direttamente impiegati nelle attività di contrasto all'emergenza. Chi decide i confini? Scogli che, riportati da Cgil, Cisl e Uil al tavolo della Conferenza Stato-Regioni come pacchetto di proposte e modifiche all'originario decreto, si sono tradotti in correttivi con il decreto Rilancio (Dl 34 del 19 maggio). Che ha però complicato le cose, soprattutto nelle regioni come la Campania sottoposte ai vincoli del Piano di rientro, rendendo impraticabile l'idea del Cura Italia di un bonus uguale per tutti di 1000 euro.
Il decreto Rilancio, in pista dal 25 maggio, nel testo finale ha dovuto tenere conto della fuga in avanti di molte Regioni. È il 14 maggio quando una nota del Governo recita: «Per il 2020 le Regioni possono incrementare i fondi della contrattazione integrativa per riconoscere, al personale sanitario dipendente delle aziende e enti del Servizio sanitario nazionale direttamente impiegato nell'emergenza epidemiologica, un premio commisurato al servizio effettivamente prestato». I premi però poi non riguardano solo i sanitari e non è scritto che siano commisurati al servizio. L'articolo 2 del decreto 34 integra il Cura Italia ma non indica le cifre, non delimita il personale, non prevede sgravi fiscali e l'eventuale raddoppio delle risorse da parte delle Regioni non è esigibile obbligatoriamente. Il pressing dei confederali alla Stato-Regioni fa crescere il fondo: ai 250 milioni iniziali se ne aggiungono 190 non più destinati agli straordinari ma da «destinare prioritariamente alla remunerazione delle prestazioni correlate alle particolari condizioni di lavoro del personale dipendente», ossia legati al disagio. Sul piatto ci sono dunque 440 milioni più 250 che le Regioni possono usare per incrementare gli stipendi di tutti per un totale di 690. Se nel Cura Italia i fondi erano pensati per integrare il fondo straordinari e notturni solo a medici e infermieri in prima linea, l'integrazione allarga la platea a tutti gli operatori sanitari aggirando l'indennità infettivologica. L'avverbio «prioritariamente» è infine il lasciapassare per la confluenza nei fondi incentivanti sia del comparto che della dirigenza sanitaria. Dopo aver pagato il dovuto come «condizioni di lavoro» potrebbero non avanzare soldi per i premi. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino