L'incubo di tre anni fa. L'incubo della Severino. In questi giorni, in queste ore, quella vecchia storia è un sonno agitato dei deluchiani ma non del diretto...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
E, infatti, una settimana fa nella sala giunta, durante la riunione della maggioranza prima del consiglio regionale, ha voluto anzitutto rassicurare i suoi. E, anzi, ha fatto un passo in avanti. «Guardate che, senza temi di smentite, sono già in campagna elettorale, sono candidato. Anzi - precisa come per lanciarsi un personale assist - se mi chiamate per iniziative elettorali sul territorio, io ci sono».
Non una parola sul processo ma, nella semantica deluchiana, il chiarimento di come niente e nessuno può fermare la sua ricandidatura per le regionali del 2020. Un discorso che valeva non tanto per chi nel Pd (a Roma e Napoli) fa balenare l'idea di puntare su qualcun altro, quanto come anche la sentenza sul Crescent non potrà mai essere uno scoglio insuperabile. Un modo per calmare e rassicurare consiglieri e assessori impauriti. Perché tre anni fa, è il timore, era tutta un'altra storia. A De Luca fu imposto uno stop per la legge Severino per la vicenda del termovalorizzatore ma durò appena un paio di settimane prima di una provvidenziale sentenza del Tar come già era accaduto, analogamente, per il sindaco de Magistris. Ma allora era diverso: aveva appena conquistato la poltrona più alta di palazzo Santa Lucia e il suo partito, il Pd, era nella fase più alta della sua formidabile ascesa renziana. Anzi proprio quello stop firmato dal Cdm servì a Renzi premier per esaltare il suo modello: altro che deroghe e leggi ad personam, qui non si fanno sconti a nessuno. Nemmeno al governatore del Pd appena eletto. «Ma oggi senza nemmeno più un partito forte alle spalle e con una campagna elettorale già alle porte il terreno è assai più scivoloso», è il ragionamento dei deluchiani preoccupati. «Perché quell'ultimo miglio senza di lui sarebbe assai difficile», dicono. Paure. Specie se nelle ultime settimane De Luca, ed è la prima volta, non ha messo mano, come aveva preannunciato, ad una messa a punto della sua segreteria politica e della macchina amministrativa regionale. Tutto si è fermato dopo il cambio della giunta. Segnali diversi che hanno, per settimane, disegnato lo scenario di un cerchio magico fermo, impaurito e timoroso.
L'ha intuito il governatore che ha preso la palla al balzo per rassicurare, tranquillizzare usando la prossima campagna elettorale. Anche perché, è questa la sua deadline, un minuto esatto dopo la sentenza (comunque vada) si parte subito con l'ultimo miglio in vista delle regionali. È fatto così De Luca: usare un ostacolo per caricarsi e poi gettarsi a capofitto in una nuova partita per cui sta già approntando lo schema. Ovvero giocarsi non più di 4-5 capitoli da usare come panzer per le elezioni. E, quindi, trasporti, lavoro, fondi Ue e, soprattutto, sanità alla voce uscita dalla gestione commissariale. E non è un caso che ieri, da palazzo santa Lucia, sia partita la richiesta ufficiale al governo per far rientrare la Campania nella gestione ordinaria. Un plico con dati «inoppugnabili» in cui spiccano il recupero dei quasi 30 punti sui Lea: dai 124 del 2016 ai 152 di quest'anno. Per palazzo Santa Lucia, Roma deve dare l'ok e far partire a gennaio 2019 l'anno di affiancamento previsto prima della gestione ordinaria a partire dal 2020.
Giusto in tempo per la campagna elettorale e giocarsi la carta migliore. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino