Ha lasciato il carcere di Parma, per essere tradotto in ospedale, nel reparto riservato ai degenti detenuti. Tecnicamente si tratta della sua prima volta a distanza di anni, della...
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Ricordate il caso dell’ergastolo ostativo? Secondo la Corte costituzionale, anche chi ha commesso gravi delitti ed è stato condannato in via definitiva all’ergastolo, senza però aver mai collaborato con la giustizia, ha diritto a chiedere un permesso dopo una lunga detenzione. La pena deve puntare alla riabilitazione al detenuto e - in linea di principio - chi ha trascorso decine di anni di cella ha il diritto di chiedere un permesso o una attenuazione del rigore del 41 bis.
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Ed è su questo ragionamento che fa leva l’istanza dell’avvocato di Cutolo. Detenuto ininterrottamente dal 1979, prima a Poggioreale, poi ad Ascoli, poi ancora all’Asinara, infine a Parma, l’ex professore di Ottaviano non ha mai scelto la strada della collaborazione con la giustizia. Sepolto da ergastoli definitivi, non si è mai pentito, limitandosi a mandare messaggi sinistri e sibillini attraverso altri canali. Ha accettato infatti di rispondere alle domande dei vari esponenti delle commissioni di inchiesta nate in questi anni per fare chiarezza su intrecci tra politici, stragisti, mafiosi e terroristi. Torbidi da prima Repubblica. Come per il caso Moro, per il sequestro dell’assessore regionale Ciro Cirillo, per l’omicidio dell’ex capo della Mobile Ammaturo, trucidato a Napoli assieme a due agenti di polizia, come per il coinvolgimento di soggetti legati alla nostra intelligence, ma anche al ruolo dei nostri servizi segreti.
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Mezze parole e riferimenti espliciti, senza una linea di continuità sotto il profilo collaborativo. Fatto sta che ora la sua istanza è al vaglio dei giudici del Tribunale di Sorveglianza di Reggio Emilia. Settantanove anni, condannato in via definitiva a 14 ergastoli, tra cui conviene ricordare quelli per l’omicidio del senatore Marcello Torre e dell’ex direttore del carcere di Poggioreale Giuseppe Salvia (entrambi nel 1981), Cutolo punta ora a fare leva sulle nuove possibilità offerte dalla Corte di giustizia europea e dalla Corte costituzionale. Nel corso della sua istanza, chiede di incontrare la moglie anche solo per qualche ora, magari in un istituto religioso o comunque in una realtà controllata da forze di polizia e agenti della penitenziaria. Spiega l’avvocato Aufiero: «Qualunque magistrato ragionevole non può non ammettere che gli estremi per accordare un permesso ci sono tutti. Mi chiedo: come si fa a pensare che possa essere ancora pericoloso un soggetto, dopo 42 anni di detenzione in isolamento? Abbiamo prodotto questa istanza dinanzi ai giudici della Sorveglianza, per capire quali saranno le motivazioni, al di là della decisione del magistrato. Ma come faranno a dimostrare che Cutolo è ancora in grado di risultare pericoloso?».
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Ma torniamo alle condizioni di salute e detentive del padrino di Ottaviano, sulla sua lucidità e alla sua capacità di offrire un contributo (anche se non di carattere collaborativo) alla ricostruzione di alcune vicende storiche e giudiziarie. Appena pochi anni fa, Cutolo è stato ascoltato come persona informata dei fatti dai pm Ida Teresi e Gianfranco Scarfò, in relazione al ruolo di uno dei suoi killer di fiducia: parliamo di Pasquale Scotti, alias ‘o collier, arrestato dopo oltre trent’anni di latitanza in Brasile e deciso a collaborare con la giustizia. Un pentimento abortito, ritenuto non convincente da parte della Dda di Napoli che, prima di dare parere negativo all’applicazione del programma di protezione di Scotti, decise di ascoltare su alcuni punti la voce di Cutolo. Ed è in questo scenario, che Cutolo confermò la tesi secondo la quale «Moro poteva essere salvato», ma anche la presenza di alcuni politici tuttora attivi all’interno del carcere di Ascoli Piceno, in relazione alla trattativa tra Sismi e lo stesso Cutolo per ottenere la restituzione da parte delle Br dello stesso assessore Cirillo.
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Parole inquietanti che non hanno mai dato corso a una collaborazione con la giustizia, destinate a fare titolo sui giornali, a scuotere per qualche tempo l’opinione pubblica, senza dare corso a una reale operazione verità. Ed è alla mancanza di collaborazione con lo Stato, che i parenti delle vittime della Nco si appellano con tutta la determinazione possibile. Guai a dare un permesso a chi si è reso protagonista di una stagione di sangue indelebile e si ostina a non raccontare tutta la verità alle istituzioni. Questa mattina, l’incontro in ospedale tra Cutolo e la moglie Immacolata Iacone, in attesa che i giudici di Sorveglianza si esprimano sulla sua richiesta di permesso nell’era dell’ergastolo non più ostativo.
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Il Mattino