Livelli essenziali di assistenza (Lea) in caduta libera in Campania, precipitati all'ultimo posto nella classifica delle Regioni italiane e per la prima volta sotto la soglia...
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Un viaggio in un tunnel, quello del Piano di rientro, che oggi si rivela un infernale gioco dell'oca. La Campania, in sette anni dopo aver tagliato dove ha potuto i servizi sanitari, disarticolato ambulatori e reparti, applicato ticket e tasse (aliquote di Irpef e Irap ai valori massimi) e lasciato sul campo 14 mila camici bianchi non rimpiazzati sconta un debito organizzativo per nulla intaccato dal commissariamento. Anzi, anche alcuni grandi ospedali delle reti cittadine a Napoli come a Salerno e Caserta, su cui ricade gran parte del peso assistenziale, mostrano un preoccupante logoramento in cui barelle e affollamenti perenni sono la spia accesa su un problema irrisolto. Disordine organizzativo del 118, piante organiche della rete dell'emergenza non rispettate, profili di personale squilibrato, procedure disomogenee, tante unità (troppe), inquadrate con contratti precari nonostante i piani per la stabilizzazione e il passaggio alla dipendenza, avvisi per la mobilità interregionale e concorsi per il reclutamento di nuovo personale che procedono al ralenti. E poi il nodo irrisolto dei policlinici universitari non ancora ospedalizzati come in tutte le altre regioni e per larghe fette assistenziali ancorati a modelli di cura e tempistiche risalenti a un secolo fa. Procedure non più compatibili con i parametri di qualità fissati dalle linee guida nazionali né tantomeno con le esigenze di salute della popolazione e che rendono conto di una sanità ancora tutta da ricostruire nei pilastri fondamentali.
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Il Mattino