Campioni di Dna e tessuti potranno dire qualcosa in più sulla morte di Sara Aiello. Ieri mattina, al cimitero di Pimonte, a quattro anni e mezzo dalla sua morte è...
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IL VIDEO
Tutto parte dalla denuncia del papà di Sara, un commerciante di Pimonte. Lei, ad appena 36 anni e dopo una serie di controlli medici andati avanti per mesi, era morta la notte del 3 giugno del 2015, davanti al marito che aveva ripreso con il telefonino la crisi fatale e, dunque, gli ultimi istanti di vita della donna. Quello che appare un dettaglio macabro era, secondo le spiegazioni fornite dagli indagati, un accordo tra il marito e il medico: da tempo Sara soffriva di crisi e svenimenti, quel video sarebbe servito allo specialista per capire qualcosa in più sul quadro clinico. Purtroppo, quella crisi fu decisiva e i soccorsi arrivarono quando Sara ormai era già deceduta. «Cause naturali» fu detto, tant'è che a nessuno dei familiari venne in mente che potesse celarsi qualcosa di diverso dietro quel decesso. Tutto poteva essere ricollegato ad un probabile problema cardiaco congenito.
IL DUBBIO
Ma un dubbio, negli ultimi due anni, ha convinto il papà e i fratelli di Sara a presentare una denuncia contro il marito di lei e contro un medico, spingendo la Procura di Torre Annunziata ad aprire un'inchiesta per omicidio colposo. Se l'ambulanza fosse arrivata in tempo, Sara si sarebbe salvata? E il dubbio più atroce: il marito l'ha addirittura avvelenata? Ipotesi, queste, non ancora scartate dagli inquirenti, con il sostituto procuratore Alessandra Riccio che aveva, però, deciso di archiviare per mancanza di prove. I legali della famiglia Aiello, però, hanno presentato un corposo fascicolo a corredo dell'opposizione all'archiviazione, convincendo il giudice a riaprire il caso e concedere altri sei mesi di indagini. Ampliando, però, gli accertamenti anche ad altri due medici che avevano visitato la donna nei mesi precedenti. Ieri mattina, il cimitero di Pimonte è stato chiuso per permettere la riesumazione della salma, con l'immediato trasporto a Napoli dove l'equipe nominata dagli inquirenti ha prelevato i vari campioni. I tessuti potrebbero ancora conservare in caso di avvelenamento tracce di sostanze mortali. E, soprattutto, il Dna potrebbe raccontare se Sara fosse realmente affetta da una malattia congenita, che così chiuderebbe definitivamente il caso, ma salverebbe la vita di figli e nipoti. Tra due mesi si conosceranno le prime risposte e si capirà definitivamente se ci siano responsabilità sulla sua morte. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino