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Aveva raggiunto sua figlia 15enne in strada, poco prima della mezzanotte, l’aveva strattonata e le aveva dato uno schiaffo. Lui era in pensiero perché a quell’ora in via Gino Alfani, la cosiddetta «curva» della movida di Torre Annunziata, «girano anche persone molto pericolose». Uno schiaffo che lo ha trascinato in un incubo: quel padre 45enne incapace di esprimere la sua premura se non con le mani era finito addirittura a processo per maltrattamenti in famiglia. Un inferno durato quattro anni, che si è chiuso ieri con l’assoluzione con la formula della “particolare tenuità del fatto”. Lui non ha mai negato l’episodio, ma quello schiaffo era stato l’unico atto di violenza mai commesso nei confronti della figlia adolescente. Anzi, ha spiegato con parole sue quel gesto, tra le lacrime, tra la rabbia, la frustrazione e il dispiacere che stava vivendo da genitore e da coniuge, nel corso della travagliata separazione da sua moglie.
Tutto parte la sera del 7 novembre 2019 a Torre Annunziata, in un periodo in cui non sono rare le risse tra bande di giovani nelle strade della movida. Papà Roberto attende sua figlia Maria (per entrambi sono stati scelti nomi di fantasia). Lui ha qualche precedente alle spalle ed esce da una lunga tossicodipendenza, problema che ha rovinato anche l’armonia familiare. Maria è uscita con alcune amiche di sera, nonostante sia un giovedì e l’indomani ci sia scuola. La ragazza non risponde né al telefono, né ai messaggi, ma soprattutto non torna ancora a casa, nonostante sia già tardi. L’ansia del papà aumenta e così Roberto, quando ormai sono passate le 23, decide di uscire e di andare a cercare Maria.
Tornata a casa, la ragazzina racconta tutto alla mamma, che in quel periodo è in fase di separazione da Roberto. Le due corrono in ospedale e i medici, riscontrando una lividura sul braccio e il segno dello schiaffo, la dimettono dal pronto soccorso con una prognosi di dieci giorni. Con quel certificato, l’ormai ex moglie e Maria vanno dai carabinieri e denunciano l’episodio. Di qui inizia l’incubo di Roberto, che finisce a processo per maltrattamenti in famiglia. Lui ha alcuni precedenti legati al consumo di droga, viene da un ambiente complicato, ma non ha mai usato violenza contro moglie e figlia. Assistito dall’avvocato Francesco De Gregorio, riesce a spiegare le sue ragioni in udienza. Si commuove, piange, racconta la sua versione dei fatti che viene ritenuta sincera e genuina dal giudice del tribunale di Torre Annunziata Luisa Crasta. «Non volevo farle del male – ha spiegato Roberto in aula – era solo un rimprovero. È vero, le ho dato uno schiaffo, ma sono dispiaciuto. Ero in apprensione perché io conosco certi ambienti e alcune strade di Torre Annunziata a quell’ora possono essere pericolose, soprattutto per una ragazzina di appena 15 anni».
Un racconto spesso interrotto dal pianto. Le stesse lacrime le ha versate anche Maria, nel corso della sua testimonianza: «Ho capito perché l’ha fatto, non è mai stato violento con me». Non si trattava, dunque, di un’abitudine, di episodi ripetuti, di violenze domestiche seriali: quel singolo schiaffo era rimasto un episodio unico e isolato. Eppure, nel clima difficile di rapporti anche familiari contrassegnati da violenze a volte sottovalutate, tra codice rosso e maltrattamenti sui minori, quell’unico schiaffo aveva condotto fino al processo, chiuso ieri dal tribunale di Torre Annunziata con l’assoluzione di Roberto per la particolare tenuità del fatto. Una formula che viene utilizzata se vengono ritenute particolare tenui le modalità del gesto, l’esiguità del danno e se il comportamento non è abituale. Una serie di circostanze che, evidentemente, sono emerse per il caso di papà Roberto. Tradito dalla preoccupazione, dal desiderio di proteggere la figlia, in definitiva dal suo amore per lei.
Il Mattino