Schiavone pentito, Del Giudice: «Chi è stato avvelenato vuole la luce sui silenzi»

«Tutto cominciò nel febbraio del 1991 con i 471 bidoni trovati dall’autista del clan»

Si controllano i bidoni tossici abbandonati: una costante nell'hinterland sempre a rischio ecologico
Raffaele Del Giudice è tra i pochi a poter rivendicare un posto in prima linea nella lotta per l’ambiente: fu lui - nel 2003 - il primo a coniare il termine...

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Raffaele Del Giudice è tra i pochi a poter rivendicare un posto in prima linea nella lotta per l’ambiente: fu lui - nel 2003 - il primo a coniare il termine “ecomafie”, inserendolo nella relazione annuale di Legambiente. Da quel giorno la parola non solo è entrata nel lessico comune, ma compare nella nuova normativa inserita nel codice penale quando si parla di inquinamento e disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, e molto altro ancora. Sulla trincea della guerra combattuta contro gli scempi commessi dal clan dei Casalesi, Del Giudice - che è stato vicesindaco e assessore all’ambiente a Napoli - ha combattuto davvero: oggi è tra coloro che vedono nel pentimento di Francesco Schiavone un’opportunità per illuminare le tante zone d’ombra mai scrutate fino in fondo quando si parla di Terra dei Fuochi.

Che cosa si aspetta da questo percorso di collaborazione con la giustizia di “Sandokan”?

«Sincerità e luce sui troppi silenzi».

Sia più esplicito.

«Potrebbe sembrare un ossimoro, ma credo che dietro questa decisione di avviare un percorso di collaborazione con la giustizia ci sia anche un atto catartico d’amore verso la gente che è stata costretta a vivere nei veleni, gente alla quale Schiavone e i suoi per decenni hanno fatto tanto male».

C’è chi dice che si tratti di una decisione tardiva. Lei che ne pensa?

«Rispetto ai giorni della scoperta delle ecomafie tutto, a cominciare dal tempo, oggi è relativo. Ci sono voluti vent’anni perché il problema venisse compreso, e fui io a sollevarlo nella relazione di Legambiente del 2003. In tanti non lo recepirono, eppure tutto era cominciato nel febbraio del 1991, con i bidoni dell’autista del clan, Tamburrino, con i 471 bidoni carichi di veleni che vennero poi sversati e interrati: a quelle buche venne fatto ingoiare di tutto, e quel che è peggio è che allora nessuno aveva dato ai Casalesi la valenza criminale che meritavano, credendo si trattasse quasi di delinquenti straccioni. Invece non era così».

Quali e quante furono le responsabilità di chi non vide o finse magari di non vedere?

«Tante. File di camion arrivavano in carovane dal nord con i loro carichi tossici. E non si è mai andati a fondo per ricostruire la filiera dei prestanomi delle aziende settentrionali, che si facevano forti di un silenzio normativo in materia di controlli sul ciclo dei rifiuti. Anche su questo Schiavone sicuramente potrebbe avere delle cose da dire».

Anche sui ritardi della politica nazionale che tenne nel cassetto la normativa ambientale per tanto tempo?

«Certo».

Altre responsabilità mai emerse?

«Oltre al livello politico, c’è quello imprenditoriale. Com’è possibile che Confindustria Nord non abbia mai espulso le aziende coinvolte nel traffico illecito dei rifiuti come è emerso dai processi “Adelphi”, “Carosello” e molti altri, le stesse che stringevano accordi con la camorra?».

Lei è figlio del territorio Giuglianese, la terra delle ecomafie: che cosa ricorda di quegli anni?

«Lo scandalo dell’Asse Mediano. Quella che chiamo la “cerniera del diavolo”: da giovane ambientalista mi chiedevo come fosse possibile che le nostre terre, i campi floridi, si stessero trasformando in Terra dei Fuochi. E ancora oggi mi chiedo come si sia potuto costruire un asse stradale così, senza piazzole di emergenza, e sfregiando con un taglio netto quei terreni bellissimi. Oggi sono altre domande a preoccuparmi».

Quali?

«La criminalità organizzata, oggi, ha fatto un salto di qualità: oltre a usare le criptovalute e i social ha affinato il proprio know-how in materia di smaltimento illecito, perché i nuovi rifiuti sono tecnologici e industriali. Ecco perché la politica deve fare un salto di qualità, individuando le aree rurali del Sud da bonificare. E bisogna su questo muoversi per non farsi trovare impreparati. Possibilmente senza aspettare altri vent’anni».

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Il Mattino