Scava in un passato remoto e racconta gli anni della sua crescita criminale, addirittura prima di entrare nella Nco, prima di diventare personaggio di fiducia di Raffaele Cutolo....
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Ma in cosa consistono le prime accuse di Scotti depositate dalla Dda di Napoli? «Io sono mandante dell'omicidio di Mimì o tavutaro, del quale Pannone è esecutore materiale; credo che il cognome della vittima fosse Esposito. Era proprietario di un'azienda funebre a Casoria, all'epoca c'erano due aziende funebri, una dei Castaldo e l'altra degli Esposito. C'è sempre stata guerra per la gestione delle attività collegate a questo settore delle pompe funebri. Esiste un controllo mafioso delle rispettive zone di competenza, lo fanno tutte le ditte che operano in questo settore. Ci fu un'invasione di campo, nel senso che un carro della ditta Montuoro di Napoli andò a trasportare un defunto di Casoria, e fu una sorta di guanto di sfida».
Seguirono omicidi e agguati incrociati. Nello specifico Scotti ricorda un appostamento fatto in zona Doganella assieme al suo affiliato Peppe «maciste», che si concluse con una sventagliata di colpi nel furgone della ditta che aveva invaso per prima un territorio non suo, rompendo equilibri già di per sé fragili».
Altro episodio ricostruito da Scotti riguarda una sorta di «processo» istruito nei confronti di un giovanissimo ritenuto responsabile di una sorta di «soffiata». Nitidi anche in questo caso i ricordi del boss collaboratore di giustizia: «C'era un ragazzo che era accusato di aver fatto la soffiata per l'omicidio di un nostro affiliato (si chiamava Carmine Carnevale e venne ucciso nel 1983). Su mio ordine, i miei affiliati sequestrarono quel ragazzo e io lo interrogai. Ricordo che tremava come una foglia, eravamo in un appartamento di Cardito, assieme - tra gli altri - a Mauro Marra e Sergio Bianchi, mio capozona ad Arzano che invece fu ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia. Era terrorizzato il ragazzino, era fratello di un mio amico di gioventù, non trovai elementi per condannarlo a morte e lo lasciai andare». Non mancano riferimenti alla famiglia Moccia, dal momento che Pasquale Scotti ricorda di aver avuto rapporti con due fratelli Moccia, poi rimasti invischiati in una sorta di faida con altre famiglie di Afragola, successive all'omicidio di Gennaro Moccia. Una ricostruzione che abbraccia un periodo di almeno trent'anni, ma che si avvale anche di una serie di riferimenti a un periodo più recente. Sotto i riflettori, la guerra dei cutoliani contro la nuova famiglia di Alfieri e Galasso, ma anche una fuga e una latitanza dorata in Brasile, dove Scotti ha messo su famiglia e ha vestito i panni dell'imprenditore; poi le coperture di questi anni e gli investimenti con alcuni imprenditori di Casoria e Casavatore destinati ad essere approfonditi dalla Dda di Napoli. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino