Passo avanti della ricerca scientifica sul monitoraggio dei maremoti generati da terremoti. Dopo vent’anni di studi e attività nasce Siam, il nuovo Sistema di...
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A costituirlo ben tre istituzioni ossia l'Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) che opera attraverso il Centro Allerta Tsunami (Cat), Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e il Dipartimento della Protezione civile (che ha il compito di coordinare il Siam). L'unione dei vari settori di competenza si è reso necessario poiché se i terremoti rappresentano la causa principale degli tsunami (circa l'80 %), non sono l'unica. Altre cause possono essere frane o eruzioni vulcaniche sottomarine o costiere, con la Campania e la Sicilia con il più alto numero di sistemi vulcanici attivi.
Le coste italiane maggiormente soggette a rischio tsunami sono quelle dello Stretto di Messina, Sicilia orientale, Calabria, Gargano, Liguria e, in misura minore, di Marche, Romagna, Campania. Dal 79 d.C. (eruzione Pliniana del Vesuvio che scatenò anche un piccolo maremoto) a oggi sono avvenuti 72 maremoti, la maggior parte di debole intensità, ma alcuni anche distruttivi. Il primato del più catastrofico tsunami del Mediterraneo verificato è quello associato al terremoto di Creta del 365 d.C., con onde che colpirono l'Italia centro-meridionale, oltre a devastare molte città del Nord Africa, compresa Alessandria d'Egitto. La maglia nera del maremoto italiano più distruttivo e conosciuto è legato al terremoto di Messina del dicembre 1908, che causò ingenti danni e migliaia di vittime, con onde che si propagarono fino a Malta e raggiunsero i 13 metri di altezza. In epoca recente, ricordiamo il maremoto di Stromboli del dicembre 2002, generato da frane di materiale vulcanico nell'area della Sciara del Fuoco, che aggiunse Nord Sicilia, Ustica e Campania.
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Il Mattino