«È una droga: ho divorziato per colpa delle scommesse»

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Infili una moneta e abbassi la manovella. O spingi il tastino. Poi ne infili un’altra. Poi un’altra ancora. Ancora un’altra. E un’altra e un’altra. E via così, magari per ore. Ore e ore e ore: tutti i santi giorni. Qualcuno riesce a darsi una regola: venti-trenta euro e poi basta. E venti-trenta euro, una macchinetta delle slot, se li ingoia in qualche decina di minuti. Ma poi ci sono tutti quelli che una regola non se la danno. E ci buttano centinaia di euro. In via Roberto Bracco, dalle parti della Questura, una volta c’era il cinema Fiorentini.


Il cinema è morto da un pezzo e da qualche anno al suo posto c’è la «Sala Slot Napoli Bingo Fiorentini». Segno dei tempi. Le macchinette lampeggiano e tintinnano, luccicano e rumoreggiano. Chi è qui per giocare è qui per giocare e basta. In genere non gradisce parlarne. Dentro è vietato fotografare. «Sa, è per la privacy dei clienti», avverte un cortese responsabile di sala. Il via-vai è continuo, c’è perfino una guardia giurata all’ingresso. Entrano ed escono quarantenni in giubbotto e jeans, giovani, anziani, disoccupati, impiegati, avvocati, casalinghe. Gente di tutti i tipi. Percentuale di donne elevata. Luisa lavora come cancelliera in Tribunale»: «Io non sono una habituée - dice - ma ogni volta che vengo qui trovo sempre le stesse persone. C’è gente che praticamente fa quasi solo questo. In fondo non mi piace l’ambiente dei giocatori. Perché vengo qui allora?

Beh, mi piace l’atmosfera: le luci, i colori. E l’adrenalina del gioco, senza dubbio. Ma so regolarmi e gestirmi. Gioco da cinque anni perché il mio ex compagno giocava. Poi ci siamo lasciati, lui se n’è andato e m’è rimasta la passione per le slot machine. Questo è un mondo strano, che mi fa anche spavento. A Maddaloni c’è mai stato’ C’è il Royal Bingo: due piani di slot machine e giochi d’azzardo, centinaia di persone, una cosa davvero mostruosa. E lì vicino stanno aprendo un’altra sala giochi che sarà aperta 24 ore su 24. Con soldi che chissà da dove arrivano e andranno a finire lì dentro. Lo stato prevede di far pagare più tasse ai gestori? Fa bene».

Un mondo particolare. Dentro c’è un po’ di tutto: demone del gioco, azzardo, ossessione, dipendenza. Dosi massicce di mito consumistico. Abitudine. E l’illusione del guadagno slegato dal lavoro. Qualche volta - ma, appunto, qualche volta - c’è anche puro e semplice divertimento. Anche nella sala scommesse di piazza Carità il via-vai è continuo. Qui non ci sono solo le slot: si può scommettere su partite di calcio e cavalli. Oppure spendere qualche euro (o molto più di qualche euro) sui giochi «virtuali»: ovvero, si punta su corse di cavalli e partite simulate da un computer. Qui è tutto finto, tutto virtuale: il sistema è programmato per far vincere ogni tot giocate un certo quantitativo di denaro. Non si scappa, i giocatori, nel complesso, perdono sempre: altrimenti non ci sarebbe guadagno per i gestori, i concessionari e lo Stato.

Gaetano Leone ora è pensionato. Aveva una macelleria in via Pasquale Scura. È seduto su uno sgabello e segue le corse sui monitor. Racconta: «Gioco da 40 anni. E posso dire che a giocare si perde sempre. Una volta, quando c’erano le lire, vinsi un paio di milioni puntando sui cavalli. Ma poi sempre piccole cose: cento una volta, duecento un’altra... Sto qui, passo il tempo. Quanto tempo? Un paio d’ore la mattina, tre-quattro ore la sera...». «Se, se - interviene un altro giocatore - a te a fine anno ti daranno lo sgabello d’oro...». Carmensita è una vera habituée. E non lo nega. «Non chiamatelo gioco - dice - questo non è gioco, questo è un’altra cosa: è una droga. È eroina, è cocaina. Io qui dentro ci sto anche dieci ore al giorno. Ho divorziato da mio marito per colpa del gioco. Perché mi ero giocata tutti i soldi suoi...». Nelle sale scommesse c’è un mondo promiscuo. Ma dove tuttavia vigono le differenze. La vecchia guardia in genere è quella dei «cavallari». Un «cavallaro», uno che punta sui cavalli, per esempio, non si confonderebbe mai con un maniaco delle slot machine. Anche se frequenta gli stessi luoghi. Pasquale Medici è un signore colto, con barba bianca e senso dell’humour. Faceva il libraio con Guida.


«Prima si vinceva solo con il vincente e il piazzato. Ora, per fare cassa, per incoraggiare a giocare, si sono inventati i tre piazzati. Ma un cavallaro doc gioca vincente e piazzato. Gioco con moderazione, un paio d’ore al giorno. Una volta con tre euro ne ho vinti 3mila e ottocento: primo e secondo arrivato. Ma c’è gente, come no, che s’è giocata ville e palazzi...E li ha persi. Certo, il demone del gioco c’è, c’è sempre stato. Però questo mondo delle sale-gioco di oggi è tutta un’altra cosa. La puntata e il risultato, con i giochi virtuali, si esauriscono in un paio di minuti: non c’è ragionamento, non c’è intelligenza, non c’è attesa...». Anche Emilio Silvestri, gestore con Mario Esposito del Bar Anna, con annessa sala Better, in via Pignasecca, usa la metafora della droga: «Lo Stato vuole aumentarci le tasse, ma noi già prendiamo poco - sostiene - Fatti i conti, a noi gestori di slot machine resta in tasca il 5% sugli incassi. Su mille euro, per esempio, il 75% è pay out: denaro restituito ai giocatori sotto forma di vincita. Il 15% lo prende lo Stato. Il rimanente 10% va per metà ai concessionari e per metà a noi. Penso che se davvero dovessero aumentare la tassazione, dovremmo fare uno sciopero. Ma per i giocatori non cambierà niente: per loro è una droga». Gli adesivi che campeggiano sulle sei macchinette del Bar Anna ipocritamente avvertono: «Il gioco è vietato ai minori e può causare dipendenza patologica». Poi c’è scritto che «se il gioco non è più un divertimento» si può contattare il numero verde 800.921.121. E la coscienza pubblica è salva. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino