Revenge porn, centinaia di casi risolti con il «Metodo Cantone»: come funziona

Revenge porn, centinaia di casi risolti con il «Metodo Cantone»: come funziona
Il «Metodo Cantone», il sistema di identificazione che ha permesso di scoprire e denunciare oltre cento presunti responsabili della diffusione dei video privati di...

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Il «Metodo Cantone», il sistema di identificazione che ha permesso di scoprire e denunciare oltre cento presunti responsabili della diffusione dei video privati di Tiziana Cantone - la 31enne suicidatasi il 13 settembre 2016 - diventa uno degli strumenti principali adottati da alcune Polizia giudiziarie italiane per scoprire le false identità in rete e risolvere casi di «revenge porn»; si tratta esclusivamente di casi emersi sui social che hanno sede negli Usa, i più diffusi, da Facebook a Instagram, da Twitter a Telegram, compagnia da poco passata sotto la giurisdizione del Governo Federale americano.

Dopo mesi di «sperimentazione», il metodo è ora ufficialmente usato da Carabinieri e Polizia Postale, che si sono rivolti, per indagini in corso a Venezia, Roma, Cagliari e Milano, agli esperti di Emme Team, il gruppo di studi legali americani ed europei (con sede a Chicago, Los Angeles e in Michigan), che aiuta le vittime di «revenge porn», e che ha ideato il metodo intitolandolo a Tiziana Cantone, vista come simbolo di speranza per tutte le vittime del web. Un metodo diventato ormai un precedente con valore di legge grazie ad una sentenza emessa dal giudice federale del West Michigan, che ha ordinato ai colossi del web di fornire le informazioni necessarie per identificare i responsabili della diffusione di video o immagini private. E così che si è arrivati alla denuncia nei mesi scorsi, alla Procura di Napoli, dei 103 presunti responsabili della diffusione dei video privati di Tiziana Cantone, o a quella di una donna che a Napoli ha rubato l'identità di una minorenne per creare un falso account.

Il metodo si basa sull'obbligo giuridico che ogni compagnia ha, negli Stati Uniti, di immagazzinare, senza poterli utilizzare, i dati di chi apre un account sulle proprie pagine, come il numero di cellulare, l'email usata come riferimento e in contemporanea la geo-localizzazione del dispositivo, la marca di quest'ultimo e di conseguenza l'intero traffico internet generato; alla vittima di «revenge porn», basta quindi compilare un modulo sul sito di Emme-Team, e richiedere gratuitamente il blocco dell'immagine. Se è vero infatti che i colossi del web non sono per legge responsabili di ciò che gli utenti postano miliardi di volte ogni giorno sui loro server, lo sono però quando viene violato il diritto d'autore di un testo, di un video, di una foto, o quando se ne faccia un uso improprio, e quando vengano informati tramite questo metodo. 

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Il Mattino