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«Mi ha scritto “se torni ai domiciliari, ricordati che sei mia moglie”». Durante un colloquio telefonico autorizzato con la figlia Teresa, donna Gemma Donnarumma aveva annunciato la volontà di suo marito Valentino Gionta, il capoclan ergastolano di Torre Annunziata. In una lettera inviata alla moglie dal regime del 41-bis, il cui contenuto è stato svelato nell’ultima inchiesta anticamorra che ha portato all’arresto tra gli altri di Teresa Gionta e suo marito Giuseppe Carpentieri, Valentino Gionta aveva impartito un ordine ben preciso, che secondo gli inquirenti potrebbe essere già stato eseguito questa settimana.
Da pochi giorni, infatti, la 67enne Gemma Donnarumma è tornata libera. Dopo tredici anni di carcere, ha scontato un cumulo di quattro condanne per associazione di tipo mafioso, estorsione e altri reati di camorra. Ultimo anno e mezzo trascorso nel carcere di Lecce, «donna» Gemma al suo ritorno a Torre Annunziata non ha trovato i figli ad accoglierla: Aldo e Pasquale stanno scontando l’ergastolo, Teresa è tornata in cella lo scorso 30 novembre. E non ha trovato la sua casa di sempre, quella con il trono dorato da lady camorra: Palazzo Fienga è solo un brutto ricordo, oggi attende un restyling dopo la confisca dell’edificio, che diventerà un simbolo di legalità.
In questi primi giorni da donna libera, i rumors raccontano di un via vai di persone che hanno deciso di renderle omaggio e tributarle il bentornato. Lei non è una donna qualsiasi, come non è stata una detenuta come tutte le altre. La moglie di don Valentino ha rappresentato per due decenni la volontà del marito, fino al suo arresto nel corso dell’operazione «Alta Marea» del 2009.
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Era la reggente occulta del clan, la consigliera del figlio Pasquale nel periodo in cui aveva assunto la guida dei Gionta, e aveva un ruolo decisionale importante nella cosca. Al suo cospetto dovevano recarsi gli imprenditori taglieggiati per il pizzo. Il suo carisma e il suo ruolo non furono messi in discussione nemmeno quando suo fratello Gabriele Donnarumma decise di collaborare con gli inquirenti, diventando un pentito e aiutando l’Antimafia a svelare i retroscena dell’omicidio del giornalista Giancarlo Siani. Anzi, da allora, da vera manager, ha sempre continuato a gestire gli affari di famiglia e in particolare la cassa del clan Gionta.
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