Tradì il clan e fu ucciso, arrestato un ristoratore

Luciano Verdoliva ritenuto uno dei killer è il proprietario del ristorante Le tre caravelle

Luciano Verdoliva ritenuto uno dei killer
Era rientrato tra le fila del clan D'Alessandro dopo aver trascorso alcuni anni con gli «scissionisti» degli Omobono-Scarpa, ma non gli era mai stato perdonato...

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Era rientrato tra le fila del clan D'Alessandro dopo aver trascorso alcuni anni con gli «scissionisti» degli Omobono-Scarpa, ma non gli era mai stato perdonato quel cambio di casacca. Uno sgarro che il clan di camorra predominante a Castellammare di Stabia non perdonò al 28enne Carmine Paolino, soprannominato «Badalamenti», e che lavò subito con il sangue.

A 18 anni di distanza da quell'efferato delitto, è stato risolto l'ennesimo «cold-case» della camorra stabiese. Un omicidio brutale, nei confronti di un piccolo calibro della malavita organizzata, ammazzato nel pomeriggio del primo marzo del 2005 a Scanzano, rione fortino dei D'Alessandro. Uno dei presunti killer nel frattempo era diventato ristoratore, titolare di uno dei locali premiati come «eccellenza» della cucina di mare. Proprio all'interno del suo ristorante-pescheria «Le tre caravelle», sul lungomare di Castellammare, i carabinieri del nucleo investigativo del Gruppo di Torre Annunziata hanno raggiunto ieri mattina Luciano Verdoliva, 46 anni, pregiudicato ritenuto elemento di spicco del clan D'Alessandro perché figlio di «Peppe l'autista», fedelissimo del defunto capoclan Michele D'Alessandro, e per questo motivo ucciso nel 2004 proprio dagli Omobono-Scarpa.

E per vendicare quel delitto, secondo l'Antimafia a coordinare le indagini il pm Giuseppe Cimmarotta il figlio Luciano Verdoliva decise di ammazzare Paolino. Insieme a lui, i carabinieri hanno eseguito una nuova ordinanza di applicazione di misura cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di Antonio Occidente, 50enne già detenuto e già accusato di altri omicidi di camorra.

Un delitto rimasto irrisolto per quasi vent'anni, quello di Carmine Paolino, pregiudicato per spaccio di droga e rapine, ma che fin dalle prime battute dell'inchiesta aveva visto tra i sospettati proprio Verdoliva, prima dell'archiviazione arrivata nel 2008. A svelare i dettagli dell'agguato sono stati due collaboratori di giustizia: Pasquale Rapicano, killer pentito del clan D'Alessandro, e Ciro Sovereto, elemento di spicco dei Vollaro di Portici, in quel periodo latitante sotto copertura proprio a Castellammare e legato ad Occidente.

I loro racconti precisi hanno permesso di ricostruire il delitto, consumato proprio a bordo dell'auto di proprietà della moglie di Sovereto. «Prestai la mia Toyota Corolla a Occidente, che poi mi disse che l'aveva portata allo scasso» ha spiegato il collaboratore di Portici. «Solo dopo mi disse che aveva ucciso Paolino» ha aggiunto Sovereto. Rapicano, invece, ha riferito quanto lo stesso Occidente gli aveva raccontato durante un periodo di comune detenzione in carcere. «Era uno che si vantava tanto di quello che aveva fatto ha precisato Rapicano anche con altri detenuti. A sparare fu Luciano Verdoliva».

Dopo un controllo dei carabinieri mentre era in compagnia di alcuni pregiudicati hanno ricostruito gli investigatori quel pomeriggio proprio Occidente passò in largo Pace e caricò in auto Paolino, che aveva anche avuto un alterco in strada con le moglie di due scissionisti. Con la scusa di «tirare» un po' di cocaina assieme, in realtà passarono per Scanzano a recuperare Verdoliva che si mise seduto alle spalle di Paolino. All'altezza di via Sant'Andrea, nella zona collinare, proprio a bordo dell'auto si sarebbe consumato il delitto. Due colpi di pistola alla tempia e alla nuca, un'esecuzione camorristica in piena regola. Poi, i killer si liberarono del corpo verso le 18,45, scaricandolo in strada. Le immediate indagini dei carabinieri portarono proprio a Verdoliva, che risultò irreperibile per giorni. Poi, dopo 18 anni, sono arrivati i racconti dei collaboratori di giustizia e l'arresto. I due indagati, ovviamente, potranno provare a dimostrare la propria estraneità ai fatti già a partire dall'interrogatorio di garanzia.
 

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Il Mattino