«Tredici ore per avere una diagnosi ​la mia notte da incubo al Cardarelli»

«Tredici ore per avere una diagnosi la mia notte da incubo al Cardarelli»
Un'odissea lunga oltre tredici ore. Un calvario che ha preso il via poco dopo mezzanotte con l'arrivo al Cardarelli e si è concluso solo intorno alle 14 quando Anna...

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Un'odissea lunga oltre tredici ore. Un calvario che ha preso il via poco dopo mezzanotte con l'arrivo al Cardarelli e si è concluso solo intorno alle 14 quando Anna Capuozzo, 52 anni, finalmente ha fatto ritorno a casa. Tutto è cominciato nel tardo pomeriggio dello scorso 12 febbraio quando la donna ha iniziato ad avvertire forti dolori all'addome. Un malessere che, nonostante gli antidolorifici, non accennava a diminuire. Anzi, a tratti sembrava addirittura peggiorare. Fitte insopportabili per l'intera serata, nausea, vomito e spossatezza fino a quando suo marito, Pasquale Moio, non ha preso la decisione di portarla in ospedale per capirne di più: «Un incubo - racconta Pasquale Moio - una notte che non dimenticherò tanto facilmente. In tredici ore in quel pronto soccorso ho visto davvero di tutto. E meno male che mia moglie, per fortuna, si è ripresa quasi subito altrimenti non so come avremmo fatto: la situazione, credetemi, era davvero di allarme». Dal canto suo Ciro Verdoliva, manager dell'ospedale Cardarelli, informato dell'accaduto fa sapere che approfondirà i dettagli del caso e dichiara che «in termini assoluti, l'obiettivo è quello di poter trattare tutti nel minor tempo possibile». Con una precisazione: «Se un paziente - magari un codice verde - è costretto ad attendere ore è perché a pochi metri di distanza c'è un uomo o una donna la cui vita dipende dal lavoro dei medici e degli infermieri che gli sono accanto. Come direttore generale di un'ospedale che vede in media più di 240 accessi di pronto soccorso al giorno, sono fiero dell'abnegazione e della professionalità che contraddistingue tutti i cardarelliani ai quali confermo riconoscenza a nome di tutti quei pazienti che si rivolgono a noi».


Signora Capuozzo, a che ora è arrivata al Cardarelli?
«Poco dopo mezzanotte, mi hanno dato subito un codice giallo e all'una e mezza circa mi hanno aperto la cartella clinica».

Perché è andata in ospedale?
«Forti dolori addominali. Ma sarei anche rimasta a casa se mio fratello e mia madre non avessero già avuto un infarto. Temevo potesse trattarsi di problemi cardiaci anche per me».

Che cosa le hanno fatto i medici?
«Un tracciato subito e gli enzimi da ripetere dopo qualche ora. Poi mi hanno messo in attesa su una sedia a rotelle perché non c'era neanche una barella libera».

Fino al giorno dopo su quella sedia?
«Nemmeno. Quando ho cominciato a stare un po' meglio l'ho ceduta a una donna in condizioni sicuramente più gravi delle mie e che era rimasta in piedi perché erano finite pure le sedie a rotelle».

Quindi in piedi è rimasta lei?
«Alla fine gli infermieri mi hanno dato una delle loro sedie che sono riuscita a tenermi non senza difficoltà. Per andare in bagno dovevo fare sedere mio marito. Se ti alzi un attimo è la fine: la sedia sparisce».

Tredici ore di inferno, insomma.
«Mi è andata pure bene. C'era gente in attesa anche da tre giorni. Senza contare i ricoverati nei reparti dove non c'era più posto e quindi mandati in pronto soccorso. Un caos mai visto. Sembrava un bivacco: chi mangiava, chi dormiva sulle sedie, gente che si lamentava. E a detta dei portantini era pure una notte relativamente tranquilla».

 


Quanti ammalati in attesa ci saranno stati?
«Almeno una settantina da visitare e non so quanti che aspettavano i risultati o un posto in reparto. I più fortunati erano in barella, gli altri sulle sedie a rotelle indipendentemente dalla patologia, alcuni addirittura su poltroncine di emergenza recuperate ovunque dalla caposala del pronto soccorso. E poi il caos di ambulanze, a un certo punto si è arrivati quasi alla paralisi».
Al netto della lunga attesa come è stata trattata?
«Il personale è straordinario. Medici e infermieri lavorano in condizioni disumane e ce la mettono tutta per far funzionare le cose nel migliore dei modi, purtroppo non dipende da loro: è impossibile gestire una situazione come quella».
In tredici ore a quanti esami è stata sottoposta?

«A parte quelli di rito, dalla pressione ai prelievi, mi hanno fatto un tracciato, un lavaggio e gli enzimi. Per fortuna non era un infarto e così, finalmente, alle ore 13.47 sono stata dimessa».
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Il Mattino