«In fuga a piedi dall'Ucraina a Napoli, vi racconto quell'inferno»

«In fuga a piedi dall'Ucraina a Napoli, vi racconto quell'inferno»
Trentasette km a piedi, in zone dove si iniziava a respirare l'atmosfera pesante della guerra: un autobus preso alle 5 di mattina, rinunciando a treni e aerei ritenuti troppo...

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Trentasette km a piedi, in zone dove si iniziava a respirare l'atmosfera pesante della guerra: un autobus preso alle 5 di mattina, rinunciando a treni e aerei ritenuti troppo pericolosi. Ecco l'incredibile viaggio di Claudia Simeoy, appena 24 anni, mamma napoletana, papà inglese, studentessa in medicina nella zona universitaria di Dnipro, in Ucraina, scelta per evitare la tagliola del numero chiuso. Una ragazza che con grande spirito di iniziativa è riuscita a superare tutti gli ostacoli e rientrare a Londra. Ora è a Napoli dove ha potuto riabbracciare i genitori, il fratello, parenti e amici.

Quando è iniziato il suo viaggio?
«Il 24 febbraio, quattro giorni dopo l'annuncio dell'operazione militare speciale da parte di Putin. In realtà avevo già pianificato una sorta di exit strategy e avevo pronto un piccolo bagaglio e uno zaino. Ho lasciato tutti i libri. In facoltà avevamo capito che tirava una brutta aria. La sera avevo sentito mia mamma che mi ha lasciato un messaggio sul telefono in cui mi diceva di rientrare subito».

A che ora è partita?
«Ho letto il messaggio di mamma alle 5 di mattina. In lontananza si sentivano già esplosioni importanti. Una mia compagna norvegese era partita mesi prima. Ho chiamato allora un amico che alloggiava nei paraggi e ci siamo messi in moto. Mia mamma era in contatto con me, mi rassicurava e consigliava per non farmi andare nel panico».

Come vi siete mossi?
«Già da quattro giorni si parlava di un possibile attacco cyber. Mia mamma voleva che andassi a Kiev per prendere il primo volo. Ho scartato questa ipotesi».

E allora come ha fatto ad andare via?
«Ci siamo recati in stazione: l'alternativa era tra treno o bus. Non c'era ancora la folla assurda dei giorni seguenti ma il tabellone dava ritardi di ore. Faceva molto freddo. Ho pensato che se il treno si fermava nella terra di nessuno col freddo avrei rischiato troppo. Hanno organizzato un bus e mi sono buttata sul primo che partiva. Mia mamma poi ha confessato che consigliandomi sentiva la responsabilità enorme del mio destino. Ho seguito l'istinto: nel bus c'era altra gente. Ma alla fine questa scelta mi ha rallentato tanto».

Dove eravate diretti?
«A Leopoli per poi prendere un treno verso la Polonia».

Cosa ha visto lungo il viaggio?
«Cose allucinanti: avevano bombardato alcune zone e anche il centro dell'autostrada, tanta gente si riversava per strada per salire sul mezzo. L'autista a quel punto ha iniziato a pretendere molti soldi per i biglietti a fronte del rischio. Ho visto persone morire nella calca. I soldati ucraini erano stremati, i soldati non riuscivano a tenere la folla. Era tutto fermo per il traffico. Abbiamo impiegato 7 ore per arrivare a Leopoli. A un certo punto siamo scesi».

In che senso?
«Era impossibile proseguire con l'autobus. Leopoli dista alcune decine di chilometri della frontiera con la Polonia e ci siamo incamminati. Abbiamo percorso 37 chilometri a piedi. Lungo il tragitto, grazie ad alcuni passaggi, abbiamo accorciato di 7 chilometri la nostra marcia».

Quando siete arrivati?
«Dopo ore e ore, era pomeriggio inoltrato ma alla frontiera ci aspettava un altro scoglio che sembrava insormontabile».

Cosa è successo?
«La mia sfortuna è stata che in questo ritardo di ore è stata dichiarata dall'Ucraina la legge marziale, la chiamata alle armi. Al posti di blocco c'era una fila infinita. Facevano passare solo le donne Ucraine. Un intasamento incredibile come un grande corteo. Mio fratello col Gps vedeva la mia posizione. Ha visto tutti i miei tentativi falliti di attraversare la frontiera sulla mappa».

Cosa è accaduto, perché non riusciva a uscire?
«Ho mostrato prima il passaporto inglese, ma mi hanno respinta. La precedenza era per le donne ucraine con bambini. Mi dicevano di aspettare. Poi ho provato con quello italiano ma non è stato sufficiente. Ho chiamato l'ambasciata inglese ma mi hanno detto che potevano aiutarmi solo in Polonia. Ho chiesto aiuto a mia mamma pregandola di postare sui social le immagini e di avvertire i media e la Bbc. Ero disperata».

Come ha fatto a passare?
«Prima ho pensato di sganciarmi dagli altri immigrati non ucraini, ho chiesto a un autobus di prendermi a bordo ma al controllo mi rimandavano sempre indietro. Mi sono inventata di essere incinta. A quel punto ho trovato una guardia che si è impietosita e mi ha offerto acqua e cibo. C'è stato un attimo di distrazione. Mi sono fatta largo e sono letteralmente scappata in Polonia eludendo il controllo. Il mio amico mi ha seguita».

In Polonia dove è andata?


«In un centro di accoglienza al confine pieno di gente disperata. Poi tramite l'ambasciata sono rientrata a Londra. Ora sono a Napoli con mia madre. Resterò qui dai miei parenti per un po'. Siamo giovani e vogliamo un mondo senza questi assurdi steccati tra nazioni e popoli». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino