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Alle 10.25, ora italiana, il cellulare si connette con l’Ucraina. Olga ha davanti a se il libro di letture e saluta la maestra che entra in classe per iniziare la lezione. Eppure l’edificio scolastico è deserto. Ma a Leopoli, Ternopil e nelle altre regioni dove la guerra lascia sprazzi di quotidianità, i bambini seguono a distanza le lezioni. Alle 9.25 in Ucraina, suona la campanella online, ogni alunno dal proprio rifugio, Paese di accoglienza, famiglia ospitante apre i libri e immagina di essere in classe. La dad in tempi di guerra è speranza e voglia di normalità, da Castellammare sono una decina gli studenti, di ogni fascia d’età, che a tutti i costi stanno seguendo le lezioni con i loro insegnanti ucraini, a loro volta a casa o nei rifugi.
Le piattaforme sono le stesse che i coetanei italiani hanno conosciuto durante la pandemia: Zoom, Classroom, e poi c’è l’ucraina “Ideina scuola”. Ma la dad tra l’Italia e l’Ucraina non è affatto facile: ha programmi settimanali, compiti assegnati una sola volta e un suono forte che irrompe spesso, quello delle sirene che avvertono di un attacco in corso. «A volte suonano in continuazione e non si può fare lezione - spiega Tamara, interprete che segue i ragazzi arrivati a Castellammare - ieri su 4 ore sono rimasti appena dieci minuti in collegamento, poi è scattato l’allarme e hanno dovuto chiudere: la linea è saltata».
Il pericolo di attacchi aerei, o l’avanzata delle truppe russe interrompe la voce degli insegnanti, riporta la paura negli occhi di chi è fuggito e di chi è rimasto. Quando il telefono si spegne, Andrea, Nicole e Olga proseguono da soli.
Le prime famiglie arrivate a Castellammare hanno usufruito del sostegno delle parrocchie cittadine, la Caritas ha il compito di collegare tutte le realtà, censisce tutti i rifugiati e li affida a chi ha dato la disponiblità, poi ci sono le mamme e le nonne che lavorano da anni in città e sono riuscite a portare i loro cari a Castellammare. Per queste persone le parrocchie dei quartieri sono il punto di riferimento, il sostegno e il braccio operativo. «Il loro Paese non li ha abbandonati - spiega don Catello Malafronte, parroco di Sant’Antonio - molte famiglie sperano di tornare presto e studiare a distanza è un modo per mantenere vivo il legame con quello che hanno lasciato. Intanto abbiamo attivato corsi di lingua italiana, abbiamo inserito i ragazzi nelle palestre cittadine e siamo in continuo contatto con le scuole».
Anche in parrocchia la mattina c’è la dad. Nei locali di via Allende vivono una mamma con i figli di 13 e 17 anni. Il più grande è già all’università e segue anche lui a distanza. Ieri mattina anche loro hanno aiutato a riempire il furgone di aiuti che ora sono in viaggio verso l’Ucraina. «Ci appoggiamo ad associazioni che lavorano lì - spiega don Catello - sia per l’accoglienza che per la consegna di sostegni alimentari e medici. Fra pochi giorni accoglieremo 10 orfani che arrivano da un istituto di Kiev e che saranno ospitati in affido temporaneo a famiglie della nostra comunità». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino