Gianfranco Wurzburger rapinato a Napoli: «Una pistola in faccia a mio figlio di 11 anni»

Gianfranco Wurzburger rapinato a Napoli: «Una pistola in faccia a mio figlio di 11 anni»
«Quelli che abbiamo vissuto io e mio figlio l'altra sera a due passi da piazza Municipio sono stati momenti di puro terrore. All'improvviso ci siamo ritrovati...

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«Quelli che abbiamo vissuto io e mio figlio l'altra sera a due passi da piazza Municipio sono stati momenti di puro terrore. All'improvviso ci siamo ritrovati accerchiati da cinque ragazzi, uno di loro ci ha puntato in faccia una pistola obbligandoci a scendere dal motorino e portandocelo via sotto gli occhi di decine di testimoni. Ma con il senno di poi l'amarezza più grande sta nel constatare che, in fondo, ». Una serata da dimenticare, quella di martedì, per Gianfranco Wurzburger e per il figlioletto Giulio, che ha solo 11 anni: entrambi vittime della follia di un branco di giovanissimi criminali che in pieno centro hanno agito con inaudita violenza per rapinare un XMax, per poi fuggire indisturbati. Per la cronaca, il mezzo è stato poi recuperato poco prima dell'alba di ieri dai carabinieri, che adesso sono sulle tracce dei malviventi.

Ci racconti com'è andata.
«Eravamo di ritorno dallo stadio Maradona, dove avevamo assistito alla Partita, un evento di spettacolo, sport e solidarietà. Dopo una breve sosta a Mergellina per mangiare un panino, io e mio figlio ci siamo rimessi in sella per tornare a casa. All'altezza di Porto Salvo, su via Marina, ci affiancano tre scooteroni con cinque ragazzi a bordo, tutti con i caschi e le mascherine calate sul volto: Scendi, scendi immediatamente, intima uno di loro puntando la canna di una piccola pistola verso Giulio, che scoppia a piangere».

C'erano automobilisti in strada in quel momento?
«Ce n'erano. Hanno osservato la scena tirando dritti. E anche quando il gruppo è fuggito via con il mio mezzo, quando ho implorato qualcuno di fermarsi per chiedere aiuto, per dire che ci avevano rapinati, nessuno si è fermato».

E a quel punto che cosa ha fatto?
«Ho chiamato il 112. Dopo pochi minuti sono arrivati i carabinieri della Napoli Centro, ai quali ho ricostruito il fatto. Sono stati gentilissimi, volevano riaccompagnarci a casa, ma ho preferito proseguire a piedi».

E Giulio?
«Si è rassicurato vedendo i militari, e poi mi ha detto: Papà, forse è tutta colpa mia che sono voluto andare allo stadio.... Gli ho risposto che sarebbe potuto accadere in ogni posto e in una qualsiasi altra ora della giornata».
Poi ieri mattina è arrivata la telefonata degli stessi carabinieri, che le comunicavano il ritrovamento del mezzo.
«E subito dopo ho rassicurato Giulio, dicendogli una bugia».

In che senso?
«Gli ho detto: Abbiamo vinto noi, lo sai che li hanno presi quei cinque?. E solo allora l'ho visto rassicurato, dopo tanta agitazione. Ieri ho preferito che non andasse a scuola».

Lei, oltre ad essere stato in un recente passato consigliere di Municipalità, si è sempre battuto per la legalità e attualmente è presidente dell'associazione di volontariato Assogioca, l'Associazione di gioventù cattolica. Che cosa le rimane, alla fine, di questa bruttissima storia?
«Cerco di scindere la vicenda. Puntare una pistola a un ragazzino non è solo da vigliacchi, ma molto di più. Premesso ciò, questa vicenda lascia l'amaro in bocca anche perché ti chiedi se, quali e quante occasioni siano state date a questi ragazzi che ci hanno rapinati».

Si è fatto almeno un'idea di che età potessero avere?
«Non posso dirlo con assoluta certezza, ma sono convinto che si tratti di giovanissimi, forse addirittura infradiciottenni».

E come incide su questa amarezza il fatto che lei opera nel sociale con la sua associazione, e anche al recupero dei minori a rischio?
«Assogioca oggi conta oltre venti ragazzi destinatari di provvedimenti di messa in prova da parte dei giudici del Tribunale per i minori. Questo mi ha fatto riflettere sul fatto che, un domani, potrei addirittura ritrovarmeli nell'associazione, e se ciò accadesse vorrei parlare loro guardandoli dritti negli occhi».

Che tipo di rapporto si crea con questi giovanissimi che avete come destinatari di una messa in prova ai servizi sociali?


«Siamo loro vicini e li aiutiamo in un percorso di recupero. Moltissimi, quando capiscono ciò che si sono lasciati alle spalle e colgono l'opportunità di un cambiamento, si ravvedono e completano positivamente quel cammino di trasformazione. Il loro problema principale resta sempre lo stesso, e sta a monte: a questi giovanissimi sono mancati sempre la famiglia e la scuola».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino