C'è Vasco a Napoli, l'assalto dei 45mila allo stadio: «Amavo Diego, un onore suonare al Maradona». La scaletta del concerto

C'è Vasco a Napoli, l'assalto dei 45mila allo stadio: «Amavo Diego, un onore suonare al Maradona». La scaletta del concerto
Nella «Napoli mille colori che mi è cara da sempre» Vasco è bello carico. Le prove partenopee di ieri pomeriggio lo hanno visto scatenato, in formissima,...

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Nella «Napoli mille colori che mi è cara da sempre» Vasco è bello carico. Le prove partenopee di ieri pomeriggio lo hanno visto scatenato, in formissima, questo tour aperto a Trento davanti a 120.000 spettatori lo sta riconciliando con il mondo, e con il mestiere, dopo la cattività forzata della pandemia. «Si torna a Napoli, allo stadio che un tempo si chiamava San Paolo e ora porta il nome di un mito», racconta echeggiando l’ultimo post regalato ai fan: «L’ultima volta che sono stato qui era il 2015, era vietato alla musica da dieci anni, toccò proprio a me riaprirlo al rock, un bell’onore, ho visto che poi è rimasto aperto per artisti di ogni tipo, compreso me, visto che ci ritorno. Fu meraviglioso, lo ricordo bene, quando i napoletani cominciano a cantare insieme con te tu praticamente ti puoi fermare, perché loro cantano da Dio, è bello ascoltarli. Era ancora il San Paolo, adesso lo stadio è intitolato al grande Diego Armando Maradona, il primo nome che mi viene in mente quando vengo a Napoli, a parte il mio amico Pino Daniele. E io, con tutto il rispetto di San Paolo, sono ancora più onorato di suonare qui, ho avuto un grande affetto e una grande stima per Diego: come calciatore e anche come uomo. Sarà una grande serata, Napoli è davvero mille colori e noi proveremo ad aggiungerne qualcuno insieme con voi». 

Il messaggio ai fan è chiaro e il popolo del signor Rossi è già in cammino, 45.000 i biglietti venduti, l’assalto a Fuorigrotta inizierà in mattinata e durerà fino a notte fonda: quasi una trentina le canzoni in programma, due ore e mezzo circa di show, una band tosta-tosta, con l’aggiunta di una sezione di fiati che permette di virare di funky-blues qualche pezzo. Steff Burns e il direttore musicale Vince Pastano sono i due guitar hero, Andrea Torresani al basso (ma compare per un attimo allo strumento anche il mitico Claudio «Gallo» Golinelli), Alberto Rocchetti e Frank Nemola si danno da fare sulle tastiere, Frank Nemola pesta sulla batteria e Beatrice Antolini sulle percussioni, Andrea Ferrario soffia nel sax, Tiziano Bianchi nella tromba, Roberto Solimando nel trombone.

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In scaletta, con i classici, da «Vita spericolata» all’addio con «Albachiara», da «C’è chi dice no» a «Siamo soli», ci sono brani dimenticati o addirittura mai eseguiti dal vivo, oltre, naturalmente, a quelli dall’ultimo album, «Siamo qui», a partire dall’iniziale «XI comandamento», beffardo anti-inno dell’italietta sovranista, del «popolo del cambiamento». Dal suo diciottesimo album in studio arriveranno - almeno stando alle previsioni di scaletta - anche il brano del titolo, «La pioggia alla domenica», «Una canzone buttata via» e «L’amore l’amore», inno, questo sì, alla libertà erotico-sentimentale («Com’è?/ Lui con te/ Lei che l’ama fino in fondo/ ma lui non c’è/ sta con te./ Lei con lei/ lui con lui... L’amore, l’amore, l’amore, l’amore/ si fa con le mani, si fa con il cuore/ si fa come si vuole») di cui sembra in arrivo a sorpresa una versione remixata. Dal passato che non passa, ma che qualcuno aveva dimenticato ormai, spunteranno, invece, «Ti taglio la gola» o «Sballi ravvicinati del terzo tipo».

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Più piccolo di quello, più che kolossal, del debutto a Trento davanti a 120.000 persone, il palco di Vasco Rossi è uno spettacolo di per sé: ideato da Giò Forma è alto come un palazzo di 9 piani. Fondamentali i visual mostrati sugli schermi giganti, dietro e ai lati del rocker di Zocca: sono opera di Pepsy Romanoff, alias Giuseppe Romano, classe 1977, da Torre Annunziata che nel 2015 girò in questo stadio anche un docufilm poi finito nelle sale ed ora impagina il concerto tra filmati e particolari di quando succede in platea, con riguardo particolare per l’esplosione di ragazze in topless che ormai accompagna, tappa dopo tappa, l’esecuzione di «Rewind». «Dove sono le tette? Sono già andate via... Le cose belle finiscono sempre troppo presto», ha iniziato a commentare con gusto il cantautore, colpito dal disinibito omaggio che le fans, sempre sullo stesso pezzo, hanno iniziato a tributargli, magari istigate da qualche comparsa ingaggiata dalla produzione.

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Mai grande oratore, il signor Rossi riserverà anche stanotte al gran finale il messaggio che ha voluto al centro di questo tour, il suo inno alla pace, il suo j’accuse alla guerra, alle logiche militari: «Dove c’è musica non c’è guerra, ma dove c’è guerra non c’è musica», «Fanculo la guerra», «Pace, amore e musica», «Give peace a chance».


 

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Il Mattino