Non può sparire dalla circolazione, altrimenti rischia di perdere quel carisma che gli consente di incassare ancora denaro dal pizzo, è costretto «a scendere», vale a dire a...
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Vita da latitante numero uno, vita da obiettivo sensibile. Cambia spesso covo, è protetto da una rete. Ma chi sono gli uomini più fidati? Giovani, ma non «bambini», hanno superato i venti anni, svolgono funzioni decisive per la sua permanenza in libertà: c’è chi organizza le «case» di appoggio, quasi sempre collegate ad ambienti familiari non collegati con la camorra (quindi soggetti incensurati), passa giornate intere a leggere i giornali, mangia in continuazione: focacce, saltimbocca, qualche birra. Covi da cambiare ogni due tre notti, sempre quando si presenta l’esigenza di farsi un giro nella propria zona di competenza. Incontra i suoi fedelissimi, organizza il circuito dei soldi: destinati a qualche famiglia dei detenuti affiliati, ma anche a chi gli sta vicino da poco tempo. Soldi e informazioni, merce preziosa ora più che mai. Punta ad arrivare a settembre, spera che la pressione investigativa si abbassi, in modo da riorganizzare la rete di alleanze: contatti con quelli della Vannella Grassi, quasi sempre gestiti attraverso il circuito delle carceri; appoggi con Napoli est, a cominciare dai Rinaldi di San Giovanni a Teduccio. Un lavoro impostato (e rodato) dal fratello Emanuele, ucciso lo scorso due luglio, quando il cartello Amirante-Brunetti-Giuliano-Sibillo gestiva la leadership di Forcella. Una vita che costa migliaia di euro al giorno, anche per tenere in piedi quella «paranza» dei bimbi che tanto preoccupa gli inquirenti. E non è un caso che sulla faida di Forcella, sono al lavoro proprio i pm minorili, in campo assieme alla Dda del procuratore aggiunto Filippo Beatrice e del pm Francesco De Falco. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino