Nel video del neomelodico gli «attori» erano camorristi

Nel video del neomelodico gli «attori» erano camorristi
Il videoclip della canzone «'O capoclan» era la rappresentazione del clan Birra-Iacomino «come un clan vincente» in piena guerra di camorra contro gli...

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Il videoclip della canzone «'O capoclan» era la rappresentazione del clan Birra-Iacomino «come un clan vincente» in piena guerra di camorra contro gli Ascione-Papale. Mentre nelle strade di Ercolano si susseguivano gli agguati e le vendette trasversali, con decine di vittime tra cui molti innocenti, il defunto camorrista Vincenzo Oliviero, il boss soprannominato «Papa buono» e nel 2003 reggente del clan Birra, aveva commissionato il brano al neomelodico Nello Liberti, all'anagrafe Aniello Imperato, marittimo con la passione per la musica e una lontana parentela con alcuni affiliati. Un brano probabilmente scritto dallo stesso Oliviero e interpretato dal cantante, che era «una vera e propria istigazione a partecipare al clan Birra» anche «per emanciparsi ed uscire dalla povertà». Con queste motivazioni, i giudici del tribunale di Napoli hanno condannato Imperato a un anno e quattro mesi per il reato di istigazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso. Un'indagine complessa, condotta da carabinieri e guardia di finanza, all'epoca coordinati dal pm antimafia Pierpaolo Filippelli, oggi procuratore aggiunto a Torre Annunziata, e arrivata a processo quasi alla soglia della prescrizione.


LA RADIO
Frame dopo frame, nel clou della faida di Ercolano, gli investigatori riuscirono a risalire a tutti i protagonisti del videoclip della canzone che da anni era diventata praticamente l'inno del clan Birra. Era il 2003 quando su «Radio Nuova Ercolano», l'emittente poi confiscata proprio al boss Oliviero perché mandava chiari messaggi agli affiliati, impazzava il brano di Nello Liberti. «Il capoclan è un uomo serio, non è vero che è cattivo» cantava in dialetto il neomelodico, che in questo modo giustificava e addirittura «esaltava la figura del boss scrivono i giudici in sentenza anche quando questi prendeva decisioni gravi quale quella di uccidere un avversario rimarcando il fatto che si trattava di scelte necessarie per tutelare il gruppo e la famiglia». A corredo della inquietante canzone, pubblicata nell'album «Lasciatemi crescere» di Nello Liberti, sulle emittenti televisive locali e poi sul web comparve anche il videoclip. Alle parole sono state associate delle immagini ancora più eloquenti. «Il video rappresenta il clan Birra» scrivono i giudici ed è stato «girato in aree notoriamente sotto il controllo del clan Birra-Iacomino da persone che di tale gruppo criminale erano fiancheggiatori o partecipi ed imparentati direttamente con il reggente Vincenzo Oliviero». In pratica, gli attori altro non erano che camorristi che interpretavano loro stessi. Tra questi figura Anna Esposito, nota con i soprannomi «l'angolo del regalo» perché lavorava in un negozio e «'a masculona», nipote di Oliviero. «Nel video viene rappresentato in modo perfettamente conforme a quanto accadeva nella realtà il servizio di scorta di cui fruiva il boss» hanno riscontrato i giudici e infatti «anche le auto impiegate erano quelle effettivamente usate dai membri del clan».


YOUTUBE


Scene di ordinaria camorra nel centro di Ercolano, tra pistole, pizzini con il nome di una persona e una croce che ne decretava la condanna a morte. E poi, il boss latitante che si nascondeva in un casa che era una delle vere abitazioni frequentate dagli affiliati, poi confiscata e abbattuta perché pure abusiva. Tra gli altri interpreti figura Alfonso Borrelli, che nella realtà era gestore di una piazza di spaccio di droga ad Ercolano per i Birra-Iacomino. L'impatto che ebbe quella canzone in città fu sicuramente forte; il videoclip è tuttora presente su YouTube, dove conta mezzo milione di visualizzazioni, che rendono «'O capoclan» una delle hit di camorra di maggiore successo. Nella scena finale, poi, dopo essere stato arrestato il capoclan invita Dio a proteggere i suoi figli e sottolinea «Dio se non puoi farlo tu non preoccuparti, ci penso io». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino