Così l'architetto-scrittore vince la paura: «Io, più forte della malattia»

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«È un tipo sveglio, con la voglia di vivere che gli si legge in faccia». E sorride, «soprattutto quando inciampa nei suoi problemi perché è...

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«È un tipo sveglio, con la voglia di vivere che gli si legge in faccia». E sorride, «soprattutto quando inciampa nei suoi problemi perché è consapevole che se li affrontasse in maniera negativa cambierebbe ben poco, anzi, potrebbe peggiorare tutto, e perderebbe così la lucidità per poi smarrirsi nell'indecisione dei passi da fare». Mauro Galliano, nel romanzo Tommaso, si racconta con profonda leggerezza. La sua è una autobiografia nemmeno troppo celata tra le righe: sì è creato un alter ego. Letterario.


«Superati i primi quarant'anni, crede sia arrivato il momento giusto per darsi delle risposte. Quante volte si cercano risposte alla domanda perché?» L'autore di Occhi di Ferrofilato è un architetto napoletano specializzato in materia di sicurezza sui cantieri. Ma il professionista è impiegato per sicurezza personale (se così si può dire) anche in una compagnia telefonica. «Mi occupo di assistenza ai clienti, un servizio che riesco a gestire», spiega Mauro-Tommaso, magro al punto di guadagnarsi il soprannome Ferrofilato. Doppiolavorista, ora anche scrittore. Ammalato di Sclerosi multipla, «patologia quasi sconosciuta al momento della diagnosi. Ma questa malattia non smette di stupirmi».

Parte di sé, non identità perché Galliano avanza più veloce. E, se non può, come gli accade a volte per mesi, costretto su una carrozzina, guarda più lontano. Oltre. «Fissando un punto di lato, però, l'immagine si sdoppia...». E, con un occhio, lui si impegna a farsi forza, con l'altro a «raddrizzare la giornata storta»: «Proprio in ospedale, ho conosciuto colei che è poi diventata mia moglie». Allora, una ragazzina conquistata da quella voglia di vivere anche da adulto più forte della malattia. «Un amore fuori dai luoghi comuni», lo definisce nel libro, spiegando perché cercare di descrivere tutto, non può significare elencare ciò che gli è successo: dalla nascita nel reparto di ginecologia e ostetricia al San Paolo, nel 1973 appena inaugurato, a zio Michelino, dalla «muraglia cinese che diventa sempre più alta per non far scappare pensieri contorti» alla mamma chioccia e alle cucchiarelle di legno. Poi c'è papà Beppe, senza la soddisfazione di trovare stampato il suo nome originale, Antonio. E i debiti a scuola, «peggio che al Monte dei Pegni di via Toledo» e, nell'antivigilia di Natale del 1988, l'inizio di un «lungo calvario (letteralmente, segnato tra virgolette)» in un «nuovo giro di campo».


La malattia stessa segna la linea sottile: «Fissare il sole senza lacrimare, sin da piccolo, lo aveva fatto sempre sentire forte anche nei confronti dei compagni di scuola, si vedeva invincibile rispetto a loro che dopo pochi istanti staccavano lo sguardo con gli occhi arrossati». Oggi Mauro assieme a Maddalena (alias Gabriella) e il cane Piuma vive a Bagnoli e «ha paura». Lo ammette nero su bianco, nella sua lotta quotidiana. «Ha un solo pensiero appena sveglio: fare in fretta per poggiare i piedi a terra». Così Ferrofilato mette all'angolo la malattia. Conclude a voce: «Solo dopo la pubblicazione, ho capito che questa storia non è rivolta a quelli che sono ammalati come me, ma agli altri». A ciascuno, con i propri timori e le proprie debolezze, e senza darlo a vedere. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino